“Avere i piedi per terra…
Non c’è detto più valido e attuale, soprattutto in questo momento di profonda crisi. Significa essere capaci di guardare la realtà con concretezza, senza grilli per la testa e contando solo sulle proprie certezze. Noi uomini di campagna abbiamo ricevuto questo insegnamento dai nostri padri, ma è stato condiviso da tutte le categorie sociali dell’Italia post bellica, sia nel Nord che nel Sud del Paese. “Avere i piedi a terra” significava fare un passo alla volta, tastando la consistenza del terreno, per poterne fare un altro, senza assistere allo sgretolarsi di ciò che si stava costruendo. Come per il pellegrino alla ricerca della fede, il viaggio non è solo metafora della condizione umana, ma bensì una “condizione giuridica”, sancita da una messa solennissima con la benedizione del bordone e della bisaccia del viandante, così il “piede”, tema del nostro festival, diventa non solo la traccia del nostro passaggio, ma la molla che dà la spinta necessaria per spiccare il salto verso l’ignoto. Per librarci nell’aria o per immergerci nel mare della conoscenza.
In questo 2014, mettiamo in relazione il nostro bisogno di scavare negli idiomi contemporanei con la necessità di trovare un nesso tra la storia e un festival che, da sempre, si interroga sul proprio tempo. Per dirla alla Erri De Luca, “l’elogiare i piedi non è altro che il bisogno di conoscere meglio il prossimo e il suo mondo “.
Paolo Fresu
Ho voluto aprire questa mia galleria fotografica sul Time in Jazz di quest’anno con le parole di Paolo Fresu, il Festival di Berchidda, famoso in tutto il mondo, fiore all’occhiello della Sardegna in note, giunge alla sua ventisettesima edizione, affondando gli strumenti nelle nostre radici: i Piedi.
La particolarità di questo straordinario evento è il collimarsi della musica con il territorio. La continua scoperta di location in piena natura dona al tutto un gusto particolare, tanto quasi da farti diventare antipatiche le seggiole dell’arena, la notte per l’ultimo spettacolo. Piedi, i nostri piedi sono il tema principale, e non possiamo dire che Paolo non ce li ha fatti usare: abbiamo scarpinato e fatto un sacco di chilometri da una location all’altra, abbiamo goduto con gli occhi, con il cuore e con la mente delle opere di musicisti straordinari. Il Time in Jazz è un posto magico, è un mondo a parte, una dimensione eccelsa nel caos che nel quotidiano ci assedia.
Questo è stato il mio Time in Jazz. Buona Visione
Sabina Murru