Presente in tutte le culture, il suicidio è un fenomeno tutt’oggi complesso e multideterminato, costringe spesso ad interrogativi che restano per la maggiore, privi di risposta. Muta e cambia in base alle epoche e alle loro coordinate culturali, rimettendo in discussione e in gioco la concezione dell’individuo. Se in molti casi è stato considerato un atto riprovevole e condannabile in altri è stato tollerato e valutato positivamente.
Platone ed Aristotele consideravano questo gesto come una fuga dalla realtà, mentre lo stoicismo rivede il suicidio come strumento di difesa delle proprie convinzioni. Seneca, lo definiva come massima e unica espressione di libertà. Nella società greco-romana, tendenzialmente gerarchica, il suicidio rappresentava un forte strumento di protesta. Il Cristianesimo condanna questo atto definendolo un’offesa a Dio e i suicidi non hanno diritto nemmeno a degna sepoltura in terra consacrata. Insomma secondo la religione cristiana non era concesso perdere la vita se non per mano di colui che l’aveva data. La rivoluzione Francese segnò un epoca ed è proprio qui che il suicidio, non venne considerato reato, la cultura razionalista portata avanti in quegli anni dagli intellettuali aveva il dovere morale di analizzare il fenomeno con margini più ampi. Lo stesso Freud analizzò il fenomeno, mentre negli stessi anni nascevano e si sviluppavano nuove scienze umane come la sociologia e l’antropologia che ne scandagliarono bene i contenuti. Come non fare riferimento a Èmile Durkhein, autore di uno dei trattati più importanti sul suicidio dove per primo comprese e analizzò le cause scatenanti non solo come fenomeno medico, quindi psicologico, ma soprattutto sociale.
Insomma, il suicidio è sempre esistito, da Saffo a Ernst Hamingway, è stato analizzato nell’arte, nella letteratura e persino Giotto, nei suoi affreschi non ha rinunciato a mostrare questo atto volontario e decisivo. Potrebbe sembrare troppo semplice ricordare e citare i Kamikaze giapponesi, eroi per la patria suicidi contro le navi Usa, o Hitler che preferì uccidersi alla resa. Di valore aggiunto il suicidio di Salvador Allende confermato trentotto anni dopo il colpo di stato di Pinochet. Se il fenomeno dei suicidi di massa fortunatamente si è allontanato, ben altri fenomeni agghiaccianti abitano il contemporaneo, si diffondono a macchia d’olio specialmente tra i giovani: la morte oltre la rete, la morte on line. Èmile Durkhein aveva, forse, realmente compreso che prima di uno squilibrio psichico, esiste una rottura di tipo sociale. Teatro virtuale di macabri gesti nell’era moderna è sicuramente il web, mai come in questi ultimi anni si assiste al proliferare di giovani, e meno giovani utilizzare questo palcoscenico per togliersi la vita.
Era il 2008 quando un giovane ragazzo diciannovenne,della contea di Broward in Florida annunciò la propria morte su internet, filmandola. La vicenda destò particolare interesse poiché il tutto poteva essere seguito in streaming su un sito americano. Millecinquecento utenti assistettero alla morte in diretta di questo ragazzo che si accasciò sul letto dopo ore di agonia per aver preso una dose letale di medicinali. Non è un argomento di cui si parla molto, paradossalmente, le tendenze suicide sono in aumento esponenziale e internet è il terreno in cui aspiranti suicidi, si scambiano liberamente informazioni, forme, e tecniche per togliersi la vita. Giappone, America, Corea del sud detengono tristi primati per suicidi, Ma in Italia destano preoccupazione città come Milano cui il tasso di suicidi è cresciuto a dismisura. Insomma, parlare di suicidio non è semplice, è un terreno delicato e scivoloso, soprattutto quando non lo si affronta da un punto di vista medico, ma cercando di raccontarlo come fatto legato al tempo in cui si vive, e trovandone persino l’estetica.
Il mondo dell’arte da tempo ha iniziato ad avvicinarsi a questo fenomeno sociale, dando la possibilità a molti artisti di proporre uno scenario artistico atto alla conoscenza e alla riflessione, cambiandone il punto di vista. Per esempio la mostra (annullata) del settembre 2009 intitolata A Lady, A Mother, A Murderer: Exhibition on Ferror (Female Terror) di due artiste israeliane, Galina Bleikh e Lilia Chak, oppure nella mostra fotografica di una strage-suicida in Finlandia.
Non meno interessanti sono due lavori più recenti lanciati alla fine del 2009. Uno è Seppukoo dei Les Liens Invisibles, che è stato presentato a novembre durante lo Share festival di Torino, e ha visto la collaborazione del gruppo di designers ParcoDiYellowstone. L’altro è web.2.0suicidemachine del Moddr_lab, presentato a dicembre al Worm di Rotterdam. Il primo fa riferimento a Facebook, e propone il suicidio su quella piattaforma come un’esperienza cool da diffondere ai propri amici, si riprende la figura del Samurai che ormai senza via di scampo sceglie il suicidio d’onore. Si invita dunque a seguire tutti la stessa modalità, creando una memorial page. Ovviamente è possibile resuscitare cliccando un nuovo login. Insomma, con l’uso ironico del suicidio, si pone uno sciopero involontario, e si cerca di mettere in risalto la soggettività e il valore di ogni individuo. Interessante anche il progetto di WEB suicide Machine che si presenta come un servizio di disattivazione degli account sui vari social come twitter, my space, etc inserendo username e password il sistema si connette cambia i dati e disattiva gli account. Sul sito è possibile anche vedere un video dove si narra la storia un utente medio di internet che passa la vita chiuso in casa e resta legato solo alla virtual life del web e i social network. Non si tratta di fantascienza o previsioni lontane, basta vedere in Giappone cosa accade ormai da parecchi anni, dove i ragazzi chiamati Hikikomori si chiudono in stanza e non escono per nessuna ragione.
Nemmeno il cinema d’autore si sottrae nell’affrontare il tema legato al suicidio. Sintesi di un passato non troppo lontano e carico di aggressiva contemporaneità
La grande abbuffata, film di Marco Ferreri, con un cast eccezionale, propone il suicidio come metafora, scintillante e colmo di freudismo. Quattro uomini, stanchi della vita inappagate che conducono, decidono di suicidarsi chiudendosi in una villa nei pressi di Parigi, mangiando sino alla morte. Il film contiene una feroce critica alla società dei consumi, e condanna così come affermò il regista, all’autodistruzione. Film attuale e consigliassimo vi terrà a distanza di quasi quarant’anni incollati alla sedia.
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