Tra i rifugiati siriani a Damasco
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Damasco (Siria)

 

“C’è bisogno di cibo, medicinali, coperte”. Arriva dal cuore di Damasco l’appello alla comunità internazionale da parte dei cittadini siriani in ginocchio dopo 17 mesi di scontri. Anche nella parte più antica della città sono arrivati centinaia di rifugiati da Homs e Hama, da Aleppo, dai quartieri più periferici della stessa Damasco, colpita da giorni di guerra.
Mentre sale a oltre 172mila il numero di rifugiati in Libano, Turchia, Giordania, Iraq, i dati diffusi dall’ONU parlano di due milioni e mezzo di sfollati nel territorio siriano: cittadini costretti a lasciare la propria casa, il lavoro, spesso anche i familiari alla ricerca di un luogo sicuro, per fuggire dalla guerra.
“Ci sono rifugiati ovunque: nei giardini, nei cortili, nelle piazze. Alcuni hanno trovato un riparo nelle scuole e nelle moschee, diventate dei “campi”, ma il loro numero è in continuo aumento e molti di loro non hanno notizie dei propri familiari e parenti”, racconta un giovane studente che vive a Damasco e preferisce mantenere l’anonimato per questioni di sicurezza. “Mi chiedo cosa accadrà il 5 settembre, quando è previsto l’inizio del nuovo anno scolastico. La periferia di Damasco è a ferro e fuoco e abbiamo bisogno di sostegno e aiuto da parte della comunità internazionale: dopo mesi di guerra la gente non ha più nulla, mancano alimenti e acqua”.

La società civile si è organizzata per fornire aiuto in ogni modo possibile, lavorando in sinergia con le organizzazioni non governative nazionali e internazionali, le associazioni locali e i singoli cittadini. Per rispondere all’emergenza hanno istituito dei veri e propri “comitati di quartiere”, che si occupano non solo di distribuire gli aiuti, ma anche di verificare la disponibilità di spazi e creare una rete di assistenza, fatta di associazioni e individui.
“Il popolo siriano ha dimostrato di essere unito, organizzandosi immediatamente quando la situazione ha cominciato a farsi critica anche a Damasco, lavorando per il bene di tutti, indipendentemente dal credo religioso e dall’appartenenza politica”, racconta un giovane volontario della “Syrian Arab Red Crescent”, la Mezzaluna rossa araba siriana, che sta lavorando nella periferia meridionale di Damasco.
Volontari e attivisti sono impegnati quotidianamente nella distribuzione di beni di prima necessità, nello scambio di informazioni utili per fornire una migliore assistenza e nell’organizzazione di attività ricreative e laboratori per coinvolgere soprattutto ai bambini, che secondo l’Unicef costituiscono oltre il 50% dei rifugiati e rappresentano la parte più vulnerabile della popolazione.
“Grazie all’impegno di molti giovani è stato possibile creare una rete di comunicazione efficace, rapida e ben organizzata a tutti i livelli, che ci ha permesso di distribuire aiuti in grande quantità e in modo sicuro”, continua il volontario della Mezzaluna rossa. Tra i problemi più grossi, oltre alle condizioni igieniche e sanitarie precarie, vi è anche quello di riuscire a raggiungere i rifugiati nelle aree più pericolose, dove è difficile garantire la sicurezza. “Ognuno offre il proprio contributo, come le donne che preparano il pane con le proprie mani e lo offrono ai rifugiati nella speranza che Dio protegga i loro figli nell’esercito”.

Nel frattempo, davanti agli uffici del Dipartimento per l’immigrazione di Damasco, decine di persone attendono in fila per avere il proprio passaporto e tentare di lasciare la Siria verso Dubai, Beirut, Cairo o Parigi, ma anche Giordania, Arabia Saudita o la Turchia, per raggiungere i propri familiari che sono già fuggiti da una guerra che si riflette sull’economia del Paese.
“Chi se lo può permettere utilizza i propri risparmi per trovare un posto sicuro per sé e per la sua famiglia, a Damasco o altrove, fuori dalla Siria”. Sin dalla primavera, gli alberghi che fino all’anno scorso ospitavano turisti stranieri affittano le proprie stanze vuote a famiglie e siriani che hanno lasciato la propria casa e hanno cercato rifugio a Damasco dai paesi e dalle città più colpiti.
“In questo momento in Siria è possibile trovare ciò di cui c’è bisogno, ma i prezzi sono raddoppiati, triplicati, nel giro di pochi mesi, e molte famiglie hanno perso tutto e non hanno nemmeno i soldi per sfamarsi”. Come spiega il giovane studente siriano, se prima della guerra un pollo intero poteva costare 1,5 dollari, oggi il suo prezzo ha superato i 4 dollari. Una situazione, questa, aggravata dal fenomeno del mercato nero e dal notevole aumento dei prezzi soprattutto nelle zone colpite dagli scontri più violenti, dove a determinare il costo della merce subentrano fattori come il trasporto, la mancanza di sicurezza, la presenza di posti di blocco lungo il tragitto. “Durante il Ramadan mi capitava spesso di vedere persone in fila all’ingresso della moschea degli Omayyadi nell’orario dell’iftar*”, continua lo studente. “Ho pensato stessero acquistando del cibo per cenare con i propri familiari e amici, ma si trovavano lì per ricevere cibo, in particolare yogurt e riso, perché non hanno la possibilità di acquistare nulla”.

E se la popolazione siriana è consapevole che per tornare alla normalità saranno necessari tempi lunghi, a portare un po’ di speranza ci sono i tanti gesti di solidarietà e le storie come quella di Cham e Naya, venuti alla luce nelle scuole di Sahnaya, dove i loro genitori hanno trovato rifugio: “abbiamo scelto questi nomi perché le persone di Sahnaya non ci hanno mai abbandonati, facendoci sentire a casa, tra la nostra gente”.

* il pasto con cui i Musulmano rompono il digiuno durante il Ramadan

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