di Rosangela Spina
Negli ultimi decenni il concetto di salvaguardia dell’architettura, sia come edilizia di base che come emergenza di monumento e del suo contesto ambientale, ha compreso intere porzioni delle città storiche, del tessuto edilizio diffuso oltre le singole architetture monumentali. L’uso di tecniche e di materiali spesso incongrui, derivati dal cantiere industriale del novecento, hanno spesso creato una cesura al secolare continuum storico ed hanno comportato l’urgenza della riappropriazione di alcuni caratteri tipologici originari, di tecniche costruttive tradizionali, di materiali autoctoni.
La recente esigenza di salvaguardare la memoria storica ed architettonica di interi comparti urbani da episodi catastrofici ben noti, quali terremoti, alluvioni, frane, ha fatto sì che venisse intensificato questo iter di conoscenza. L’ultima frontiera di salvaguardia riesce a scommettere sul mantenimento dei caratteri culturali originari sui quali si interviene, coniugandoli alle recenti scoperte in materia di innovazione tecnologica. Si tratta di interventi di recupero sul patrimonio edilizio esistente, finalizzati ad un riuso compatibile quanto più possibile con le esigenze abitative dell’habitat contemporaneo e coadiuvata da aspetti dell’architettura più attuale. L’idea che si è avuta per anni dell’architettura storica, memorizzata dalla tradizione ottocentesca, è stata quella di un oggetto isolato, immobile, avulso dal contesto, estraneo alla vita altrui e che non serve a nulla se non a se stesso. Riappropriarsi del concetto di architettura come organismo edilizio funzionale, andando oltre alle sue specifiche qualità fisiche e materiche, è una delle strade più adatte per ridare vita a quelli che altrimenti sarebbero soltanto contenitori vuoti. Non conservazione tout court, ma una trasformazione controllata che oggi è messa in evidenza nei numerosi manuali per il recupero di vaste aree della fascia mediterranea.
In Italia molte scuole di metodo, come per esempio fra le tante possibili da menzionare quelle dei professori Cesare Dell’Acqua (Università di Bologna) e Luigi Zordan (Università dell’Aquila), puntano l’attenzione su metodi compatibili di intervento, che da un lato consentono la salvaguardia dei procedimenti costruttivi tradizionali e dall’altro predispongono a procedimenti di aggiornamento tecnologico e funzionale dell’ambiente costruito. Tutto ciò ha comportato l’attenta conoscenza dei materiali adoperati nell’edilizia storica, delle antiche tecniche costruttive, del sapere pratico dell’artigiano oramai spesso da ricostituire. È dunque la dimensione del fare l’orientamento oggi prevalente, contro quel meccanicismo standardizzato a cui eravamo abituati a seguito del boom industriale del dopoguerra.
Abbiamo proposto alcune domande sull’argomento, in merito ad innovazione edilizia e sviluppo ecosostenibile, al professore Marco Sala, Ordinario di Tecnologia dell’Architettura dell’Università degli Studi di Firenze, Direttore Centro Interuniversitario ABITA, Coordinatore Scientifico ABITARE MEDITERRANEO ed esperto di tematiche sulla cultura architettonica delle aree del Mediterraneo.
Mentre scriviamo si è verificata la grande migrazione dalle coste libiche, evento che ha messo ancor più in evidenza alcuni punti spiegati dal professore in quest’intervista.
Buongiorno, può brevemente raccontarci le caratteristiche peculiari dei tipi edilizi, dei materiali e delle tecniche costruttive adoperate nell’edilizia storica della sua area geografica?
La domanda potrebbe avere come risposta un libro intero, data l’ampiezza degli argomenti ed anche la diversità dei contesti presenti all’interno della “mia area geografica” (comune? provincia? regione? Italia?), contesti che si potrebbero già identificare, in modo più appropriato, sulla base delle aree climatiche omogenee piuttosto che geografiche.
Considerando la fascia climatica della Toscana occidentale (escludendo cioè le pianure interne e le montagne) i materiali tradizionali dell’architettura storica sono costituiti dal laterizio, utilizzato in murature portanti di tipo massivo, realizzate con mattoni pieni di dimensioni circa 5,5×12×25 cm; murati con malta di calce spenta, usata anche per realizzare intonaci con una proporzione tradizionale di 1-3-1 cioè 1 parte di legante e calce, 3 parti di aggregato (sabbia di fiume) e 1 parte di acqua.
La muratura di mattoni veniva a volte integrata da elementi lapidei, per lo più in pietre arenarie o anche marmi come nella zona della Versilia o travertino nella aree di Siena e Grosseto. Questi inserti lapidei andavano a costituire architravi, stipiti, mensole, ma anche gradini, davanzali e a volte raccordi angolari, conci di volta ed elementi decorativi. Lo spessore delle murature variava in funzione del carico portato, fino anche a 60-70 cm nelle cantine o al piano terra in edifici di 3-4 piani e poi a decrescere nei piani alti, anche fino a 12 cm (murature ad una testa).
La muratura era in genere protetta da uno strato di intonaco, anche se non mancano zone dove il mattone veniva lasciato volutamente a vista creando effetti decorativi e costruttivi con la sua messa in opera (pilastri, piattabande e lesene, archi, volte, archi di scarico, cornicioni etc.).
I solai e i tetti utilizzavano legname, in genere di castagno per maggiore durabilità, con orditura principale in travi sommariamente squadrate, di dimensioni medie raramente maggiori di cm 25 x 30 posate ad interassi di 1,5 metri con travetti circa 7×7 ad interasse di 30 cm.
Nella realizzazione dei tetti al di sopra dello strato di tavelle si posava direttamente il manto esterno in coppi e tegole mentre nei pavimenti si usava un massetto in calce sul quale si collocava la pavimentazione, anch’essa generalmente in elementi di cotto. Piuttosto frequente anche l’uso di volte a botte e nei casi più importanti a crociera e successivamente ad arco ribassato e poi, con l’avvento del ferro utilizzato come profilati posati a interasse di 60-70 cm in sostituzione delle travi, collegati con volticelle in mattoni.
È possibile o meno riscontrare delle similitudini con le aree del sud Italia, delle isole, e in generale della fascia mediterranea?
Le caratteristiche descritte per la fascia costiera toscana si incontrano anche in molte aree del sud Italia, delle isole, e in generale della fascia mediterranea in quanto costituiscono l’eredità e l’evoluzione delle costruzioni romane, arrivate fino a noi nel ripetersi delle conoscenze materiali e del sapere pratico di generazioni di costruttori che solo nel secolo scorso hanno modificato il modo di costruire attraverso l’impatto con i nuovi materiale (ferro e cemento armato in primis) e poi con il mercato globalizzato dei componenti e dei prodotti per l’edilizia.
La messa in sicurezza e l’adeguamento sismico dell’edilizia storica è uno dei temi più attuali. Può descriverci il suo pensiero per quanto concerne il rapporto tra vulnerabilità sismica e tecniche costruttive ?
Anche se alcune architetture del passato sono giunte fino a noi relativamente intatte (pensiamo al Pantheon di Roma, o alle tante cattedrali gotiche e in generale all’architettura anche minore dei borghi e delle città italiane), il fatto che un edificio storico sia ancora in piedi non è di per se una garanzia del fatto che la sua tecnica costruttiva sia efficace per sopravvivere a un possibile sisma, come il recente terremoto dell’Aquila o in passato quello di Tuscania hanno dimostrato.
Attualmente le conoscenze scientifiche e diagnostiche sui fabbricati e l’esistenza di nuove tecnologie e nuovi materiali ci mettono però in grado di migliorare sensibilmente la resistenza dell’edilizia storica: il problema è piuttosto quello della conoscenza dei diversi gradi di pericolosità (necessità di analisi dettagliate) e dei modi dei costi dei possibili interventi per consentire agli enti preposti o anche ai privati, di programmare politiche di priorità negli investimenti e negli interventi.
A suo parere, come si potrebbe ottimizzare al meglio un progetto antisismico, coniugando struttura, qualità estetica ed energetica, contesto ambientale?
La necessità di coordinare fra loro competenze diverse per ottimizzare gli interventi di recupero edilizio e restauro è oggi assolutamente imprescindibile. La tradizionale separazione disciplinare, che si riflette nei diversi programmi di intervento e iter autorizzativi ha portato ad una insostenibile separazione delle conoscenze e delle pratiche di recupero sull’edilizia storica o semplicemente vecchia.
Viceversa il coordinamento fra diverse strategie di intervento porta anche a interessanti sinergie e risparmi nelle operazioni di recupero e rifunzionalizzazione per consentire una reale tutela e valorizzazione di quanto chiamiamo ormai con consuetudine ma con poca attenzione reale il “patrimonio edilizio storico esistente”.
Componenti edilizie innovative, sistemi tecnologici per il risparmio energetico, fotovoltaico, bio-architettura o architettura ecologica. Quale tra questi criteri considera più consono? In un’analisi costi-benefici quanto e dove conviene applicare questi nuovi criteri per l’efficienza energetica?
L’unica regola assoluta nel campo dell’architettura, e quindi anche nel campo dell’efficienza energetica in architettura, è che non esistono regole e criteri assoluti.
Ogni caso specifico è diverso da un altro per condizioni al contorno, vincoli, disponibilità, richieste della committenza, ma anche tipologia edilizia, area climatica etc.
In generale possiamo dire che il progetto di un edificio deve rispondere ad una pluralità di esigenze (quelle che Vitruvio aveva identificato in Firmitas, Utilitas, Venustas) che oggi possiamo ulteriormente scomporre nei diversi segmenti delle competenze specialistiche e delle normative vigenti, ma sicuramente il criterio di sintesi armonica, che rispetti le diverse esigenze con intelligenza e buon senso rimane sempre l’obiettivo finale.
Anche l’efficienza energetica deve quindi entrare (obbligatoriamente) in gioco nel processo progettuale e costruttivo, ma insieme e coordinata con tutti gli altri aspetti: non si tratta infatti di qualcosa da apporre a posteriori e non basta un pannello sul tetto per realizzare un edificio sostenibile.
Può descriverci le sue linee-guida per il recupero del patrimonio edilizio esistente?
Le linee guida per un recupero del patrimonio edilizio esistente sono essenzialmente metodologiche:
-conoscenza approfondita delle caratteristiche dell’immobile
-diagnosi dei discostamenti dall’efficienza e dalla normativa nei vari settori
-ipotesi degli interventi possibili per raggiungere un miglioramento o un adeguamento e integrazione sinergica fra le diverse esigenze
-verifica della congruità costi-benefici alla luce della volontà della committenza
-redazione di un progetto unitario di intervento, anche se articolato per fasi e per priorità
Immagini attuali mostrano centri urbani meridionali deturpati, con superfetazioni ed espansioni incontrollate avvenute negli ultimi decenni. Giusto per “salvare il salvabile”, quale può essere oggi un corretto approccio per il rapporto ambientale-paesaggistico della fascia mediterranea con la cultura architettonica attuale?
La città è sempre stata nei secoli un luogo di evoluzione e di trasformazione, dove le varie culture e le varie conoscenze si sono succedute nel tempo, stratificando le tracce dei propri interventi con maggiore o minore importanza a seconda delle capacità economiche e delle trasformazioni della società che le viveva.
Soltanto in tempi recenti con lo sviluppo industriale e più ancora con l’incontrollata espansione edilizia a partire dall’ultimo dopoguerra si sono persi quei rapporti fra società ed architettura che avevano dato forma ai nostri centri urbani.
Solo poche zone non hanno subito degenerazioni edilizie e modifiche del proprio paesaggio, in genere per decadenza economica, ed oggi sono quelle che hanno maggiormente bisogno di tutela perché sono divenute importanti ed estese testimonianze di un paesaggio urbano altrove stravolto e modificato.
Questo vuol dire che il rapporto ambientale-paesaggistico della fascia mediterranea con la cultura architettonica attuale non può essere univoco, ma si adatterà di volta in volta alla possibilità di salvaguardare un contesto storicizzato omogeneo oppure di intervenire con cautela o anche di inserirsi decisamente con elementi della cultura architettonica contemporanea.
Qualità estetica e architettonica, relazione costruito/paesaggio, fattore di crescita urbana: in base a questi tre parametri di giudizio, tra le città dell’area mediterranea quale metterebbe in cima alla lista e quale butterebbe giù dalla torre?
Sicuramente Barcellona rappresenta oggi un modello di evoluzione intelligente, mentre città come Taranto hanno perso la loro sfida evolutiva.
L’innovazione tecnologica ha certamente bisogno del supporto anche finanziario di amministrazioni ed enti pubblici. Conosce casi particolarmente positivi e ben riusciti della collaborazione tra enti di ricerca ed enti pubblici non universitari?
L’innovazione tecnologica deve svilupparsi su tre presupposti, l’incentivazione, anche economica, da parte degli enti pubblici, i centri di ricerca e l’imprenditoria privata, che costituisce il motore di ogni sana economia.
Senza questa terza componente l’innovazione tecnologica rischia di essere solo di carta e di non produrre effetti positivi: dunque le storie di successo sono quelle dove si è riusciti a coinvolgere il mercato ed a creare vero sviluppo. Penso ad iniziative come quella del Polo Tecnologico di Navacchio a Pisa o il recupero dell’area di Bagnoli a Napoli.
Professore, la ringraziamo della sua disponibilità. In conclusione: recuperare e costruire “eco-sostenibile” nel mediterraneo. È possibile? Quali prospettive?
E’ possibile e anche indispensabile perché le specificità ambientali e transnazionali dell’area mediterranea ne fanno un ambito dove la sostenibilità del costruire deve trovare la sua strada autonoma da altre interpretazioni legate ad ambiti culturali e climatici diversi.
E’ urgente perché il Mediterraneo è un mare “chiuso” e le sue regioni costiere costituiscono un valore unico, dove sono nate la nostra civiltà e la nostra cultura, ed oggi sono purtroppo ampiamente compromesse, e non ci sono spazi per ulteriori errori di indirizzo dello sviluppo.
Costruire sostenibile nei paesi mediterranei vuol dire sviluppare i temi generali di: Sostenibilità, Costruzione, Ricerca, Energia, Economia e Gestione del territorio e sono i temi alla base del progetto ABITARE MEDITERRANEO, che la Regione Toscana ha finanziato nel 2010 nell’ambito dell’ultimo bando per la ricerca (Por-Fesr 2007-2013), con 3,5 milioni di euro.
La ricerca Abitare Mediterraneo persegue una forte sinergia tra imprese del territorio toscano e 4 dipartimenti dell’Università di Firenze per sviluppare ricerca industriale e sviluppo pre-competitivo di un sistema aperto in cui l’innovazione tecnologica e qualità architettonica trovino reale applicazione alle diverse fasi del processo edilizio, per progettare e costruire e recuperare l’edilizia esistente in chiave di sostenibilità energetico-ambientale ed ecoefficienza.
Proporre risposte sicure alla crescita demografica e all’inurbamento:
Le previsioni al 2025 per le aree mediterranee indicano un aumento della popolazione del 25% , con la necessità di realizzare un grande numero di nuovi alloggi, oltre che alla ristrutturazione, restauro e aggiornamento funzionale del patrimonio edilizio esistente, già oggi carente sotto molti aspetti.
Sulla riva nord del Mediterraneo: diffusione delle costruzioni, riduzione della popolazione nei centri storici e aumento delle periferie.
Sulle rive sud ed est: forte crescita urbana, limitate capacità tecniche e finanziarie dei centri urbani, forte aumento delle zone di costruzioni non controllate.
La pressione sui litorali mediterranei, con un aumento previsto delle popolazioni costiere (20 milioni entro il 2025) e il raddoppio dei flussi turistici che sono attualmente 137 milioni nelle regioni costiere con aumento del 2,3% annuo: tutto questo porterà anche ad una forte crescita dei trasporti e delle costruzioni nelle coste.
Diminuire i consumi energetici legati alle costruzioni e salvaguardare le risorse.
L’adesione di vari paesi al protocollo di Kyoto (fra cui l’Italia, la Francia, la Spagna) impegna le politiche nazionali e regionali.
I consumi energetici legati alle costruzioni sono ancora molto elevati 40-45% anche in Italia.
Una forte specificità climatica mediterranea, con il problema del confort estivo, del consumo delle risorse idriche e delle risorse naturali, che richiede soluzioni specifiche e calibrate sulle regioni costiere, ma genera anche la ricerca di nuove forme di economia legate ai consumi energetici e alla gestione dei rifiuti.
Rispondere ad una domanda sempre più forte di conciliare confort di vita, sviluppo sostenibile e salute pubblica.
Una richiesta sempre maggiore da parte della società civile coinvolge l’impegno e il coordinamento delle industrie private e dei poteri pubblici che deve trovare una concreta espressione di accordo.
Oggi una stima del tempo medio passato in un ambiente chiuso o semichiuso si aggira intorno alle 20-22 ore /giorno e questo pone forti problemi di salubrità e di confort degli ambienti costruiti.
Nell’ambito degli edifici per il terziario esistono guadagni potenziali, oggi sottostimati, come l’aumento della produttività e le minori assenze per malattia legati alle migliori condizioni ambientali, studio che coinvolge anche il problema della pericolosità dei materiali.
Migliorare le competenze e la sicurezza nel settore delle costruzioni:
Il settore delle costruzioni è ancor oggi uno dei primari settori di attività nel Mediterraneo, con 1,3 milioni di persone occupate, 100 miliardi di bilancio, ed ha anche un effetto moltiplicatore: infatti per ogni posto di lavoro nelle costruzioni se ne generano altri 2 nell’economia globale.
Questa effetto di stimolazione si rivolge prevalentemente sull’economia locale: materiali locali, piccole imprese (la maggior parte delle imprese del settore sono PMI, e il 97% con meno di 20 occupati).
Purtroppo questo settore presenta anche il più grave numero di incidenti sul lavoro ed è necessario investire in ricerche specifiche, in una evoluzione della sicurezza e dei mezzi di controllo.
Pensare “Mediterraneo”.
Caratteristiche proprie dei paesi rivieraschi sono riassumibili in scarsezza di acqua ed anche opportunità climatiche: inverni miti e soleggiati, estati con punte di calore elevato, importanza dei rischi naturali: questo porta ad una diversa concezione dell’abitare, come testimoniato dalle tradizioni architettoniche del passato, ricche di potenzialità e di interessanti contaminazioni culturali.
Questo deve anche portare ad una auspicabile solidarietà fra le due rive anche nel settore della ricerca sulle costruzioni e sui problemi energetici e ambientali.
Beni ambientali comuni: il mare e il suo litorale, il ruolo delle montagne come riserva idrica, la biodiversità, gli ecosistemi mediterranei, un patrimonio culturale e materiale delle civiltà dove sviluppare “ il saper vivere, saper fare, il paesaggio“.
Questo deve stimolare una capacità politica di cooperare sui temi dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile, per una evoluzione della “costruzione regionale”.
L’obiettivo è quello di fare della Toscana un laboratorio internazionale dell’abitare mediterraneo. Non vogliamo e non dobbiamo più limitarci a trasferire competenze tecniche, impiantistica e materiali costruttivi dal Nord Europa, pensate in ambito climatico, storico e culturale completamente diverso da quello nostro mediterraneo. Esiste la possibilità di diventare, a livello europeo e internazionale, il laboratorio per la ricerca e la realizzazione dell’edificio e della casa ecosostenibile del futuro, pensata e progettata nell’ambito storico, culturale e climatico del bacino mediterraneo.