Sono passati pochi giorni da quando la Dieta Mediterranea ha festeggiato l’undicesimo anniversario dalla sua nomina ad “Intangible Cultural Heritage”: Il 16 novembre del 2010 in Kenya, precisamente a Nairobi, il Comitato Intergovernativo della Convenzione Unesco sul Patrimonio Culturale Immateriale approvò infatti l’iscrizione della Dieta Mediterranea nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità, riconoscendo con tale definizione le pratiche tradizionali, le conoscenze e le abilità tramandate di generazione in generazione nei tanti Paesi di questa area geografica del mondo davvero singolare, fornendo alle popolazioni ed alle piccole comunità un senso di appartenenza in ordine di continuità nelle consuetudini alimentari e sociali. Questo riconoscimento ha accolto di conseguenza la candidatura transnazionale di Italia, Spagna, Grecia e Marocco, vedendone una estensione anche a Cipro, Croazia e Portogallo nel 2013.
Le capitali della Dieta Mediterranea, lo ricordiamo, con naturalmente il Cilento in testa, sono:
Koroni in Grecia, la quale affaccia sul Golfo del Peloponneso. Tutto è a chilometro zero, olio extravergine di oliva, verdure, pesce fresco e frutta. Inoltre è molto diffuso il lupino.
Agros a Cipro, immersa nell’area orientale del Mar Mediterraneo, vede un numero cospicuo di nuclei familiari che praticano l’anarchia produttiva e quindi si procacciano gli alimenti di cui si nutrono: legumi, ortaggi, carne suina ed ovina. Questa località dell’isola cipriota è ricca di mandorle, noci, nocciole, datteri e fichi e gli abitanti amano molto produrre confetture in casa.
Le isole di Brac e Kvar costituiscono assieme la capitale della Dieta Mediterranea della Croazia. Sembra che la popolazione sia dedita ad uno stile di vita sano e ad una alimentazione equilibrata. Pesce e frutti di mare freschissimi non mancano mai, ci sono diversi tipi di ortaggi, frutta e verdure e c’è anche una buona produzione di vino.
Chefchaouen è una città fortezza che si trova nella zona nord occidentale del Marocco, qui le pareti blu delle case sono molto caratteristiche. Chi crede che la consuetudine di bere il tè non appartenga alla Cultura Mediterranea sbaglia, poiché essa trova larga diffusione qui, esattamente come lungo tutta la sponda dell’Africa bagnata dal Mare Nostrum. A Chefchaouen sono in corso laboratori didattici e progetti di sviluppo sostenibile finalizzati alla preservazione del patrimonio agroalimentare. Olio evo e formaggio di capra sono eccellenti, come pure i fichi ed i datteri secchi.
Situata nella Spagna nord orientale, la città di Soria è stata inserita non a caso tra i luoghi simbolo della nostra Dieta: grazie ad un piano di investimento costante ha saputo valorizzare le sue risorse nell’identificazione, nella documentazione e nella conservazione, anche per mezzo della creazione di eventi, la preservazione di riti e feste tradizionali. Sussiste un buon artigianato, il vino ed il burro sono molto apprezzati in questa terra e si consuma un certo tipo di polenta.
Tavira in Portogallo aggiunge ricchezza a questa nazione della Penisola Iberica che vanta, oltre alla tipica Cucina Mediterranea, anche il Fado, il caratteristico canto popolare portoghese. Benché il borgo sia affacciato all’Oceano Atlantico il clima mediterraneo favorisce la crescita di una profusione di erbe aromatiche, di uliveti ed aranceti. Si producono sale marino, ortaggi e verdure, i prodotti ittici, sempre freschi, sono assicurati grazie ad una buona flotta di pescherecci.
Pioppi è la capitale indiscussa della Dieta Mediterranea, in quanto è stato proprio in questa piccola località costiera, situata nel Parco Nazionale del Cilento, che Ancel Keys ha scoperto ed enunciato gli elementi fondanti di quella che più che essere una forma di alimentazione è un vero e proprio stile di vita. Qui i sapori dell’entroterra si fondono assieme alla cucina marinara, inoltre la biodiversità con la quale questa terra è stata baciata fa sì che si trovi praticamente ogni ben di Dio: olio extravergine di oliva, pomodori, la mozzarella, salumi e formaggi tipici, vini di pregio e conserve ne sono un esempio lampante.
Terre lontane, accomunate dal trittico della Dieta Mediterranea, da consuetudini e tradizioni similari e, soprattutto, da una regola fondamentale:
Mai mangiare da soli, il cibo è convivialità, condivisione, gioia e va condito col calore umano e l’amore fraterno.
La Dieta Mediterranea riconosciuta dall’Unesco non può ridursi ovviamente ad un mero elenco di ingredienti, alla sola e riduttiva piramide alimentare, piuttosto che all’esercizio fisico, elemento questo pur certo indispensabile. Essa va oltre tutto ciò in quanto deve poter contemplare la socializzazione tra individui diversi ed il tramandare delle tradizioni di generazione in generazione nei secoli, come avvenuto sino ad ora. L’uomo e la natura si fondono nei riti sociali in cui l’alimentazione della comunità diventa una esperienza totale, un momento culturale unico ed irripetibile, proprio perché la Dieta Mediterranea si fonda sulla condivisione dell’identità sociale delle persone, su rituali collettivi che questa forma di identità la allargano e la amplificano, lasciandola intatta al tempo stesso.
In definitiva la Dieta Mediterranea configura attraverso i contenuti culturali e socio-antropologici, il legame con i valori della biodiversità, il carattere alimentare, nutrizionale e salutista dello stile di vita e le dinamiche evolutive che transitano tra lo stile di vita che essa incarna ed un modello di sviluppo sostenibile. Per poter porre in essere tutto ciò occorrono inventari aggiornati del patrimonio culturale, materiale e immateriale di un territorio, le conseguenti misure di salvaguardia, i programmi di educazione, sensibilizzazione e potenziamento delle capacità di trasmissione dei valori e, infine, la partecipazione delle comunità, dei gruppi e dei singoli individui.
Purtroppo è da tempo che di notizie entusiasmanti come la chiusura del McDonald nella città di Matera non ne arrivano e c’è un fatto ancor più grave: quella più largamente diffusa e professata attraverso i media, la dottrina delle industrie agroalimentari, sempre più prossime alle multinazionali farmaceutiche, e la ristorazione, non è la Dieta Mediterranea fotografata da Ancel Keys illo tempore, ma semplicemente la peggior copia di sempre.
Forse che negli ultimi tempi state assistendo al rafforzamento del legame sociale o ad una contribuzione al benessere fisico ed emozionale dell’individuo?
Avete per caso avuto notizia dello straordinario lavoro che gli addetti alla transizione ecologica, qualsiasi cosa essa significhi, stanno facendo per la conservazione del paesaggio, delle risorse naturali e delle attività tradizionali?
Vi è giunta voce che l’attivismo degli enti preposti al welfare e al lavoro stia sortendo risultati efficaci sulla preservazione dell’artigianato e degli antichi mestieri?
Si sta tendendo di più al sollecitamento della creatività individuale, della protezione delle filiere produttive tipiche e dei valori che attengono alla riscoperta delle nostre radici o stiamo meravigliosamente cavalcando l’onda della più strafottente e becera forma di globalizzazione?
La Dieta Mediterranea sta scomparendo!!!
L’allarme è stato lanciato almeno dal 2015 dalla FAO: la Food and Agriculture Organization infatti sostiene da allora che ci stiamo allontanando da forme di consumo sobrie, ortaggi, legumi, verdura e frutta per intenderci, prediligendo quindi carboidrati, carni e prodotti caseari di ogni sorta, cibi processati, bevande gasate e zuccheri, senza rispettare tra l’altro l’apporto calorico e la frequenza con la quale mettiamo a tavola questi cibi.
Queste le parole del dott. Benjamin Leon Bodirsky del Potsdam Institute for Climate Impact Research in Germania, da sempre impegnato nella ricerca sui sistemi alimentari, cambiamento dietetico, sicurezza alimentare e obesità, sul ciclo globale dell’azoto, le emissioni di gas serra e i confini planetari e sui sistemi territoriali, mercati agricoli, impatti climatici, bioenergia e politiche di mitigazione…
“Se la transizione nutrizionale continua in questo modo non raggiungeremo l’obiettivo delle Nazioni Unite di eliminare la fame nel mondo nei prossimi decenni. Allo stesso tempo, il nostro futuro sarà caratterizzato da una quantità impressionante di persone in sovrappeso e obese. Questo scenario è dovuto all’insufficiente distribuzione globale del cibo e al passaggio da prodotti a base vegetale scarsamente trasformati verso diete non equilibrate dove proteine animali, zuccheri e grassi sostituiscono i cereali integrali e i legumi”.
È bene quindi evidenziare che secondo l’osservazione degli studiosi, per quanto attiene ai bambini particolarmente, mentre nel 1965 solo l’1% era obeso, nel 2010 l’obesità infantile ha raggiunto il 6% della popolazione globale e potrebbe arrivare al 9% nel 2050, se si continua di questo passo! La transizione nutrizionale comporta modifiche alla dieta sia in termini di qualità che di quantità: i suoi effetti sono alla base delle malattie croniche non trasmissibili, a partire dalle malattie cardiovascolari, dai tumori, dalle patologie respiratorie corniche e dal diabete.
“In assenza di cambiamenti comportamentali, concludono gli autori dello studio, i nostri risultati mostrano un futuro caratterizzato da sovrappeso e obesità di entità pandemica. con un enorme fardello sulla salute pubblica”.
D’altro canto è bene evidenziare che, al di là di quanto rilevato secondo gli studi tutt’oggi in corso a Potsdam, sono in corso progetti quali il Towards the enhancement of the Mediterranean diet in the Mediterranean Region, realizzato grazie all’accordo tra il Ministero della Salute del nostro Paese e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, volto nelle sue intenzioni a recuperare, pare, le tradizioni locali ispirate, alla Dieta Mediterranea, come elemento significativo e fondamentale per la salute psico-fisica dell’essere umano.
Secondo lo studio che ha fatto scaturire tale programma ministeriale congiuntamente alla FAO pare vi siano, fra le varie altre ragioni, anche l’aumento del reddito pro capite. Potrebbe una maggiore agiatezza economica far prediligere lo junk food e le proteine animali se questa tipologia di prodotto non fosse così a buon mercato rispetto a cibi più sani e che non rientrano nel paniere della popolazione proprio per questioni di bilancio familiare? Forse che il covid-19 non abbia accelerato il processo di transizione nutrizionale e l’aumento delle tasse?
La pandemia virale ha certamente messo in luce la necessità, l’urgenza di cambio di rotta. Il coronavirus ha reso ancora più difficile la vendita di prodotti agricoli da parte dei coltivatori, messi tra l’altro già alle strette dal cambiamento climatico che tende a compromettere i raccolti, mentre l’aumento della povertà sta spingendo un numero sempre crescente di cittadini a ricorrere alle banche alimentari: qui si parla di milioni di persone richiedono aiuti alimentari di emergenza. Attuare protocolli agroalimentari sostenibili alla svelta significa prevenire non soltanto danni eco-sistemici ma avere la capacità di nutrire 10 miliardi di persone entro il 2050 e sfatare il rischio di una carestia preannunciata.
A questo punto bisogna anche cercare di capire quanto, con la scusante di una corsa verso una catastrofe reale, si creino emergenze fittizie per continuare ad usurpare il ciclo naturale delle piante, impedendo ai contadini, come accade già da tempo, di continuare ad essere custodi di una biodiversità agricola, sempre più soffocata dal monopolio delle sementi e delle specie ortofrutticole figlie di brevetti industriali, del land grabbing da parte delle multinazionali che fanno abuso di glifosato a prodotti di sintesi, oltre che di tutte quelle forme vegetali generate dall’introgressione genetica.
In definitiva dobbiamo metterci in testa che la logica del mercato è quella del massimo profitto, da conseguire a tutti i costi, a discapito della qualità del prodotto, del benessere sociale e della tutela ambientale. L’agricoltura è purtroppo diventata agribusiness, mira cioè alla massimizzazione delle rese e si basa sul dispendio delle risorse naturali e sull’utilizzo di fertilizzanti chimici, pesticidi ed erbicidi. Il degrado è duplice, ossia ambientale e culturale, perché oggettivamente la diffusione dei semi brevettati causa ogni anno la scomparsa di tantissime varietà locali, varietà che si sono adattate al proprio territorio grazie a secoli di selezione naturale e alla saggezza contadina.
Occorre ragionare in termini di evoluzione umana, non di progresso tecnologico ed industriale, tenendo sempre da conto l’impronta ambientale ed agendo secondo coscienza.
In sintesi ciò che stravolge e trasfigura la nostra Dieta consiste nella globalizzazione, nella commercializzazione alimentare e nel mutamento degli stili di vita, tra cui anche il cambiamento del ruolo della donna nella società resta un fattore incidente. Si stima che i prodotti importati da Paesi extra-mediterranei, tra l’altro sempre più orientati verso le monocolture invasive, hanno una tale invadenza nella grande distribuzione da far sì che soltanto il 10% delle colture tradizionali locali proviene dal Mediterraneo. Tutto questo contribuisce alla rapida diminuzione della diversità genetica delle specie vegetali e animali in tutto il Mediterraneo, quando invece, giova ripeterlo, occorre impegnarsi a fondo e costantemente per sostenere modelli di consumo e di produzione alimentare che preservino risorse ed eredità culturali locali faticosamente arrivate fino ai giorni nostri e a rischio estinzione, a rischio di oblio nella memoria collettiva. Lo sviluppo urbano, l’aumento della densità demografica ed un turismo mordi e fuggi, purtroppo, fanno il resto.
Se pensavate che l’omologazione non esistesse o che non avesse un prezzo da pagare eravate in mala fede o mentivate a voi stessi.
Si parla oltretutto troppo poco della grave incidenza della salute dei cosiddetti quattro bianchi, ossia del sale, delle farine ultra raffinate, del latte, elemento che nessun mammifero consuma dopo lo svezzamento eccetto l’uomo, e lo zucchero. Bisogna saper stravolgere la sequenza dei cibi all’interno di un menu o di un pasto, con portate che vadano dagli alimenti più facilmente e velocemente digeribili a quelli più complessi da demolire in termini gastrici ed infine educare massaie, ristoratori e chef alla conoscenza ed all’applicazione pratica della biodisponibilità degli alimenti.
Soluzioni ne esistono, eccome, ma se i governi non cambiano atteggiamento, non rivedono vecchie strategie e non ne adottano di nuove, sarà difficile invertire questa tendenza letale che è la transizione nutrizionale ed estremamente vincolata al cambiamento climatico e quindi alle sorti del pianeta. La produzione etica e sostenibile di alimenti che nutrano davvero e con prezzi accessibili è indispensabile tanto quanto la coltivazione del seme dell’equità e dell’uguaglianza, dell’incremento dei redditi rurali che si impoveriscono e si spopolano sempre più, e della promozione del turismo lento. Il nostro sistema alimentare è influenzato da aspetti quali formazione, salute, energia, protezione sociale, finanziamenti e molti altri ancora, che devono poter trovare un equilibrio e poter essere messi in rete coinvolgendo il settore privato, la società civile, l’imprenditoria, i complessi museali, i ricercatori e il mondo accademico.
Occorre essere più fieri della cultura cui apparteniamo, riappropriarci di un senso di appartenenza e di una dignità che vada oltre il concetto di essere europeo o, peggio, di essere considerato spregiativamente un europeo del Sud:
“Io sono Mediterraneo! In me rivivono i Miti e la memoria degli Antenati Pelasgici ed è accesa quella scintilla di leggenda che riecheggia in tutte le terre poste di fronte al “Mare Nostrum”. Nella liturgia del Trittico del Grano, dell’Ulivo e della Vite, nella ricchezza di Sapere e Sapori con cui da tempo immemore celebro la cultura del Cibo sulle nostre tavole ogni santo giorno da quando è stato acceso un fuoco…. potete darvene conto voi stessi dell’intellettualità tradizionale e raffinata, della familiare genuinità gustativa di quello che mangio, per nutrire anima e corpo. Lo ammettete voi stessi poiché l’avete, a ragion veduta, definita Dieta Mediterranea e che oggi dalle Colonne d’Ercole e d’Oltralpe raggiunge, almeno idealmente, ogni dove per deliziare persino i vostri palati. Dei profumi e dei colori accesi della Natura che mi circonda, dell’Arte e dell’Ingegno che appartiene alle mie mani, alla mia testa e al mio cuore divulgo i segreti accarezzando rispettosamente le crepe nella pietra dei Monumenti che mi ispirarono e baciando le rughe dei volti di coloro che tramandarono tutto ciò. Narrando la Storia dalla sua culla ove, per quello che significa, ebbero luogo tutte le Fedi e l’adorazione del Dio Unico in tre distinti culti religiosi, vi accompagno presso le Vestigia che lasciai nell’Antico e nel Nuovo Mondo pure, perché ne ammiriate i fasti. In un continuo incedere migrante ho dominato i Mari, ho imbrigliato i Numeri e le Lettere, ho assegnato un nome alle Costellazioni, suggerito i vostri codici con le mie Leggi, perfezionato le vostre scienze con la mia Alchimia e con tutte le Scoperte compiute, affilando il vostro pensiero con la mia Filosofia…. lo testimoniano gli Eventi passati e presenti ed i primi romanzi dell’Umanità che qui vennero scritti e si scrivono ancora! Ve lo dico fiero, ma senza vanto, e col sorriso esorto a far tesoro di quanto m’appartiene, invitandovi a compiere assieme a me un viaggio di solidarietà, scambio e rispetto culturale perché possiate diventare testimoni della generosa ospitalità dei miei Fratelli, detentori e Custodi della ricchezza delle Terre attorno al Mare mio”.
Stiamo immolando la nostra Identità Mediterranea al progresso, alla comodità ed all’omologazione, senza renderci conto della profonda connessione tra il cibo che compriamo e mangiamo ogni giorno, la salvaguardia degli ambienti naturali ed agricoli, le sorti delle comunità rurali che vivono qui e di quelle che vivono in condizioni precarie dall’altra parte del mondo per poter continuare ad ingozzare le fauci del consumismo. Con le nostre scelte possiamo decidere se contribuire ad alimentare questo becero ed iniquo sistema o se supportare invece un modello di agricoltura ecosostenibile, che preservi la biodiversità, le risorse naturali e le antiche tradizioni contadine.