È uno dei tanti volti di questo Paese. Un Marocco fatto di fango e terra riarsa dal sole che, con il suo colore caldo, avvolge il visitatore in un’atmosfera incantata. Chiunque abbia viaggiato in questa terra all’estrema periferia del mondo arabo sa bene che la kasba, struttura fortificata urbana o rurale, costituisce un importante e caratteristico elemento dell’architettura islamico-marocchina.
Nella regione centro-meridionale si trovano imponenti esempi di queste costruzioni fortificate, veri e propri castelli di terra che, nei tempi passati, erano residenza di dinastie locali; spesso si affacciano su spettacolari palmeti all’interno di valli un tempo attraversate dalle antiche vie carovaniere e oggi percorse dai fuoristrada 4×4 dei turisti che sembrano ormai invadere anche l’angolo più recondito del Paese.
Lungo la strada che da Marrakech conduce a Ouarzazate, cittadina turistica situata a circa 250 km a sud-est della prima, una sosta al villaggio di Telouet è quasi d’obbligo. O almeno lo era fino a non molti anni fa…
Quello di Telouet è un villaggio berbero come tanti sullo sfondo montano dell’Alto Atlante; la presenza di una kasba molto particolare lo rendeva però una meta decisamente interessante rispetto ad altri piccoli centri di fango e paglia della zona, al punto da essere segnato anche sulle carte di tutti i tour operator. E infatti turisti e viaggiatori in genere sono passati in gran numero a Telouet, tanto che furono addirittura costruiti dei locali per la ristorazione, in perfetta sintonia con lo spirito turistico-imprenditoriale che sembra aver contagiato tutto il Marocco.
Se pure qualcuno continua ad arrivare al villaggio ancora oggi, è costretto a rimettersi presto in viaggio poiché ormai la splendida kasba di un tempo non esiste più e quel che ne resta è abbandonato all’oblio e allo sfregio del tempo e, soprattutto, del disinteresse di chi avrebbe potuto fare qualcosa per salvare quelle rovine. Un esempio lampante di luogo, ora pallida ombra del suo luminoso passato, che sta divenendo irrimediabilmente invisibile agli occhi del mondo e del quale si rischia di perdere per sempre il ricordo.
Ricostruita intorno agli anni Venti del secolo scorso senza badare a spese, questa kasba apparteneva alla potente tribù Glaoui e, insieme ad altre simili costruzioni, era uno dei simboli della sua egemonia sull’intera regione. All’epoca era a capo di quella dinastia Haj Thami el-Glaoui, ultimo pascià di Marrakech e discusso personaggio che, grazie al prestigio e alla posizione di forza della famiglia consolidati tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, esercitava un potere pressoché assoluto sul suo “feudo” pur nell’ambito della fedeltà al potere monarchico; le fortune messe da parte con la riscossione dei pedaggi sui transiti delle carovane, che si recavano a Marrakech percorrendo le antiche piste, e le ricchezze accumulate con la riscossione delle imposte e appropriazioni indebite continue ne fecero un uomo tanto ricco quanto ambizioso.
La sua sete di potere non passò inosservata ai francesi che, instaurando il Protettorato nel 1912, pensarono di assoggettare più facilmente il centro del Marocco concedendo a el-Glaoui ampio controllo politico sul territorio in cambio dell’appoggio al loro dominio. Durante gli anni del Protettorato, con la sua nomina a pascià di Marrakech, Haj Thami el-Glaoui acquisì un potere smisurato e negli anni Cinquanta partecipò al complotto francese che fece prendere la via dell’esilio a Mohamed V, sovrano molto amato dal popolo marocchino. Fu proprio questo gesto, unito al suo passato da collaborazionista, a far cadere in disgrazia la tribù el-Glaoui che, dopo il rientro in patria del re e il conseguimento dell’indipendenza (1956), vide la confisca dei beni e la spoliazione sistematica delle fortezze; Haj Thami el-Glaoui morì poco dopo la fine del Protettorato e non assistette allo sgretolamento del suo patrimonio.
Dopo il ’56 la stessa kasba di Telouet fu abbandonata. Circa trent’anni prima il pascià el-Glaoui, essendo Telouet il villaggio natale della famiglia, le aveva dato nuova vita, ampliandola e trasferendovi le sontuose decorazioni dei palazzi cittadini. Il contrasto con la povertà del villaggio e l’aspro paesaggio circostante non poteva essere maggiore: all’esterno un aspetto imponente da castello-fortezza e all’interno sale sfarzosamente decorate con dovizia di mosaici, stucchi dipinti, legni di cedro intarsiati… Sebbene fosse stata dichiarata monumento storico, dagli anni Cinquanta ad oggi essa non è mai stata oggetto di un serio lavoro di restauro e la sua lenta agonia si protrae tuttora.
Fino a non molto tempo fa si erano salvate dal degrado alcune stanze che era possibile visitare, dietro pagamento di una modesta somma, accompagnati da un guardiano; si poteva anche salire fino al tetto a terrazza e godere del panorama della valle intorno. Ma da alcuni anni la kasba ha chiuso le sue porte ai visitatori dal momento che l’intera struttura di terra risulta pericolante e i muri cadono a pezzi. Non si comprende come mai nel corso degli anni, nonostante le segnalazioni e gli appelli della stessa opinione pubblica marocchina, chi di dovere (Ministero degli Affari Culturali, quello del Turismo, responsabili vari a livello locale e, perché no, l’organizzazione dell’Unesco sempre attenta ad inserire luoghi nella lista del patrimonio mondiale dell’umanità) non sia intervenuto per salvare una così importante testimonianza della storia della regione al pari di altri monumenti quali il complesso fortificato di Aït Benhaddou e la kasba Taourirt a Ouarzazate che, pur appartenendo agli stessi proprietari, è stata restaurata e valorizzata con cura.
Che ci sia stato l’intento di colpire in modo simbolico il ricordo della tribù Glaoui, colpevole di essersi messa contro la legittima dinastia regnante, lasciando diventare a poco a poco “invisibile” quello che fu il simbolo per eccellenza del suo dominio? Non sarebbe un discorso accettabile nell’ottica dello sviluppo turistico ed economico-sociale della regione che il Regno del Marocco cerca di portare avanti.
Intanto le cicogne, da tempo uniche inquiline della kasba e testimoni silenziose del suo declino, continuano a nidificare sulle cime delle torri prima che anche queste crollino del tutto. La triste sorte della kasba di Telouet non può che ricordare la fragilità di questi castelli di terra, seppure essi ci appaiano come costruzioni solide ed imponenti: solidità e imponenza che si sgretolano al soffiar del vento e al cader della pioggia, lentamente ma pur sempre in modo inesorabile, fino a rendere sconosciuti per sempre, come in questo caso, luoghi meritevoli d’attenzione e carichi di storia.