Nutrire il pianeta – energia per la vita
, il tema di Expò 2015 vede il cibo come diritto, cultura, innovazione, identità. Il mondo del cibo si incontra a Milano e diventa luogo di scelte consapevoli per il mondo intero. Da questo spunto nasce l’idea per Una spiga per Kahlim l’ultimo libro di Chiara Valentina Segrè.
Una spiga di grano corta, storta e con pochi chicchi nata da una terra polverosa e arida è il filo conduttore della storia di amicizia fra due ragazzi, Margherita italiana d’origine e Kahlim ugandese. Una terra ricca di colori, di baobab e acacie, di animali feroci e di tramonti: è l’Uganda che Chiara dipinge abilmente con le parole per la fantasia di lettori grandi e piccini. Ma descrive anche una terra dura, selvaggia e arida nella quale c’è chi vive di stenti e muore per la fame. Margherita detta Maua, figlia di un medico e di un cooperante internazionale, a 12 anni torna in Italia, a Milano. I genitori vogliono il meglio dell’istruzione per lei. Maua non può abbandonare il suo amico Kahlim, cresciuto con lei nella missione cattolica di un piccolo villaggio di nome Gulu. Allora una spiga, frutto di quella terra, intrecciata tra le loro mani diventa il sigillo del loro patto “Nessuno di noi due permetterà che l’altro abbia fame”. In un’avventura rocambolesca tra i fornelli Maua coinvolge nuovi amici italiani per trovare i fondi per la sua idea sulla fame nel mondo. Tocca poi a Kahlim, ospite d’eccezione di Expò coinvolgere le nazioni, i politici, l’opinione pubblica, in un messaggio universale “il cibo non appartiene a nessun essere umano, perché è di tutti e va condiviso”. Con un tenero gesto Kahlim dona ai potenti del mondo le spighe cresciute a stento nella sua terra e scambia con loro la promessa di far germogliare i chicchi di quelle spighe in ogni angolo della Terra.
120 pagine da leggere tutte d’un fiato che Chiara scrive con la leggerezza tanto cara a Calvino, per introdurre i ragazzi a problemi complessi della società d’oggi.
Biologa, ex ricercatrice, mi dedico attualmente alla comunicazione scientifica. Dopo un periodo di ricerche in laboratorio ho seguito un master di specializzazione in comunicazione della scienza a Ferrara. Adesso sono divulgatrice e comunicatrice della Fondazione Umberto Veronesi nell’ambito della salute e dell’alimentazione.
Una spiga per Kahlim, come nasce l’idea?
La spinta a scrivere questo libro è stata data dalla mia collega Fulvia Degl’Innocenti scrittrice e direttrice della collana Parco delle storie delle Edizioni Paoline che mandò una mail a scrittori per ragazzi. Cercava belle storie leggere per la collana con riferimento al cibo e all’alimentazione. Era da tempo che mi sarebbe piaciuto scrivere un libro in ricordo di una mia cara amica e ho colto l’occasione.
Chi è Margherita alla quale il libro è dedicato?
Margherita era una mia amica fin dai tempi dell’asilo, abitavamo nella stessa via, è mancata a soli 30 anni per un tumore ai polmoni. Era una persona solare e andava in Africa per volontariato. Anche da Milano lavorava con e per gli immigrati. Il libro è ispirato a lei, c’è il suo carattere, i suoi ideali e quello che faceva quando andava in Africa. Lei è andata in una missione fondata da un prete, andava nei centri di recupero per bambini e ragazzi di strada. Uno dei suoi più cari amici, Thomas, vive veramente a Gulu in Uganda. La moglie di Thomas è un medico e hanno due bambine nate lì. Nel libro ho fatto un po’ una mescolanza tra la figura di Margherita e Tomas. La storia è ispirata a fatti veri.
Descrivi atmosfere e colori africani, sei stata in Uganda?
Non sono stata proprio in Uganda, ma in Kenya e Tanzania, abbastanza vicino all’Uganda. Ho visto luoghi simili. Mi sono ispirata anche a foto e racconti che mi mandava Margherita.
Sei stata all’Expo? Sono trattati i temi per un’uguaglianza alimentare da un punto di vista globale?
Per ora un giorno solo, per una conferenza. Ho girato qualche padiglione. Tornerò di sicuro. Non ho ancora visitato il Padiglione Zero che in teoria è quello dove c’è più approfondimento scientifico. Ho visitato padiglioni di diverse nazioni. Globalmente devo dire che Expò è riuscita a metà. E’ molto bella esteticamente, da visitare, ma l’aspetto scientifico non è stato trattato. Da questo punto di vista è stata un’occasione mancata. Ci si è preoccupati più della bellezza architettonica. Alcuni Padiglioni offrono mementi di riflessione. Quello della Corea del Sud per esempio ha un’installazione fatta da un albero bianco senza foglie e di lato c’è la proiezione di un bambino magrissimo, che cerca nella terra come un animale cerca da mangiare, poi di colpo si alza, si gira e ti guarda. Un’immagine forte con uno sguardo tra il triste e l’accusatorio, come per dire “Tu stai bene e guarda io cosa faccio, come sono”.
Quali aiuti concreti potrebbero dare le potenze mondiali a paesi come l’Uganda?
La grossa chiave di volta dovrebbe essere quella di mettere paesi come l’Uganda in condizioni da diventare economicamente indipendenti. Gli aiuti sono fondamentali nelle emergenze, ma non sono quelli che risolveranno. Bisogna mettere le persone in condizioni di essere autonome economicamente e culturalmente. Non c’è una volontà internazionale di farlo perché questi paesi diventerebbero indipendenti con un ruolo nell’economia politica globale. E’ un percorso molto complesso.
Tu viaggi tanto, hai avuto sicuramente a che fare con cibi e tradizioni gastronomiche. Hai toccato con mano la fame? E l’abbondanza? Ci racconti un aneddoto?
Mi è successo un fatto particolare in Kenya, in un resort per occidentali dove il cibo non mancava. Era un posto molto bello, ma se ti spostavi di 500 metri vedevi la cittadina dove vivevano le persone locali fatta di baracche. Le stesse persone che servivano ai tavoli nel resort. In quel contesto mi servirono un piatto di pesce crudo, io non lo amo per niente, non mi piace proprio, ma non potevo rimandarlo indietro, nel senso che avrei sentito di fare un torto ai camerieri che magari non avrebbero avuto modo di mangiarlo mai nella vita un piatto da ristorante. Di conseguenza l’ho mangiato lo stesso. Lì non l’avrei mai mandato indietro, cosa che invece avrei fatto in un ristorante in Italia.
Il tuo prossimo progetto editoriale
Uscirà a ottobre un albo illustrato basato su una storia vera. Narra di un gatto che vive in una casa di riposo. Posso anticipare che tratterà i temi legati alle malattie mentali da invecchiamento e il momento della morte. Mi sono ispirata a un fatto avvenuto in America. Un gatto si accoccolava sul letto delle persone morenti e non andava via fino al loro trapasso.
Che messaggio dai al pianeta Terra sulla condivisione delle risorse?
La Terra in cui viviamo ha risorse enormi, ma non illimitate. Per sfamare gli oltre 7 miliardi che siamo bisognerebbe riequilibrare le risorse. Il mondo occidentale ha uno stile di vita insostenibile per il pianeta e paesi in via di sviluppo stanno assumendo questo nostro stile. Dovremmo tornare a uno stile più sostenibile prima che sia troppo tardi. Fra 20/30 anni non ci sarà più cibo per tutti. Dobbiamo cambiare per noi, per i figli, per i nipoti e ripensare l’impatto che gli esseri umani hanno sulla Terra.