La storia ci insegna che ai vendicatori non è mai mancata la fantasia: dalle armi da fuoco a quelle da taglio, dal veleno ai finti incidenti; il fine ultimo era comunque l’eliminazione fisica della persona che aveva causato l’onta. Ma l’evoluzione tecnologica ha spinto l’animosità covata nel profondo verso alternative moderne: nell’era di internet si preferisce la demolizione dell’opinione (positiva) che la gente ha di colui o colei che si vuole colpire.
Sono infatti all’ordine del giorno le vendette di ex partner che utilizzano la rete per aprire vecchi armadi zeppi di scheletri: Youtube diventa facile intermediario nella diffusione di video hard privati realizzati con quello che si pensava fosse il grande amore della vita, mentre la ricerca indicizzata di Google Images mette in bella mostra ritratti spesso intimi di personaggi famosi e non.
Dal canto suo Facebook diventa spesso focolaio di zizzania. Qualche malcapitato poco avvezzo all’utilizzo della bacheca, insultando pubblicamente colleghi e/o amici e convinto che loro non potessero leggere le sue esternazioni, si è ritrovato suo malgrado a servire su un piatto d’argento l’occasione per succulente vendette.
Se quindi, da un lato, il social networking aiuta a stringere amicizie, dall’altro è una potenziale arma distruttiva alla portata di tutti. In alcuni casi il tam tam della rete si rivela però molto utile nello scovare persone che si sono macchiate di qualche colpa, spesso a danno di poveri animali indifesi. Talvolta sono i rei stessi a pavoneggiarsi di aver messo in atto azioni non certo lodevoli pubblicando i propri filmati amatoriali su Youtube, altre volte è l’iniziativa dei cittadini a permettere di identificare gli autori dei misfatti. Un caso esemplare è quello dell’inglese Mary Bale, che nel 2010 ha gettato senza motivo un gatto (che non era neanche suo) dentro un cassonetto. I padroni del povero animale, che lo cercavano disperatamente, hanno pensato di visionare il video della telecamera di sorveglianza, l’hanno postato su internet e nel giro di pochissimo tempo la signora Bale è stata non solo identificata, ma ha dovuto addirittura consegnarsi spontaneamente alla polizia per chiederne la protezione, avendo ricevuto svariate minacce di morte da internauti infuriati. Una vendetta più sobria e ironica è arrivata sempre via web: un buontempone travestito da gatto ha inscenato una farsa in cui gettava una vecchietta dentro il cassonetto.
Un po’ più complesse devono invece essere le conoscenze di chi utilizza la rete per scagliare la propria ira contro siti governativi o comunque di rilievo internazionale. È il caso di Anonymous, appellativo con cui si identificano singoli utenti o gruppi organizzati che utilizzano la rete per rimostranze collettive o per vere e proprie vendette nel nome di una giustizia tradita. Alcuni eventi hanno interessato anche l’Italia: nel 2011 Anonymous ha attaccato il sito dell’Enel, accusata di aver assoldato 500 mercenari in assetto di guerra per assediare la comunità indigena Maya Ixil di San Felipe Chenla che protestava contro l’Enel stessa (fonte: Wikipedia). Poi è stata la volta dell’Agcom per il deplorevole tentativo della stessa di istituire una procedura volta alla rimozione immediata (e arbitraria) di contenuti online che violerebbero la legge sul diritto d’autore.
Nel 2012 Anonymous ha colpito il Vaticano, Trenitalia, Equitalia, il MInistero dell’Interno e altri, per motivi importanti e spesso condivisi da gran parte del popolo della rete; forse è questo il motivo per cui è così difficile trovare chi si nasconde dietro l’anonimato. Nel 2015 è stata la volta di Expo e nel 2016 è stata presa di mira la Sanità italiana. I motivi sono sempre differenti ma sempre legati a comportamenti considerati ingiusti o crudeli dagli attivisti.
Oltre a queste rivalse mosse dall’alto di un banco di giudizio popolare, il web si presta a regolazioni di conti collettive che partono dal basso. È il caso della spedizione punitiva mossa contro Alan Ralsky, noto spammer americano molto prolifico (pare riuscisse a inviare centinaia di migliaia di email al giorno), formalmente incriminato in passato per aver violato le leggi antispam. Agli inizi del Duemila, decine di persone che lui stesso aveva riempito di email spazzatura si sono dapprima incontrati virtualmente su Slashdot.org, un sito di ritrovo per informatici, e utilizzando le opportunità di internet hanno scovato e pubblicato l’indirizzo di casa di Ralsky. Lo hanno poi iscritto a centinaia di campagne pubblicitarie facendogli recapitare ogni sorta di catalogo possibile.
Se la fantasia in tema di vendetta non è mai mancata, l’apice è stato però raggiunto dagli ideatori del sito crabrevenge.com: vendono piattole online per infestare gli ex, e non è uno scherzo.
Il sito esordisce con questa frase:
Yes we sell pubic lice and yes we are proud of it.
We sell you revenge in a plastic vial to give to your ex-girlfriend or whoever has pissed you off enough to make you seek revenge on them… If you want a method of revenge that doesn’t involve permanent damage, risk of personal injury or jail time, you have come to the right place.
Traduzione:
Sì, vendiamo piattole e sì, ne andiamo fieri.
Vi vendiamo la vendetta in una fiala di plastica da destinare alla vostra ex o a chiunque vi abbia fatto incavolare abbastanza da desiderare di vendicarvi… Se volete uno strumento per vendicarvi che non includa danneggiamenti permanenti, rischi fisici o la galera, siete nel posto giusto.
Basta una carta di credito per effettuare l’acquisto online e si può addirittura scegliere fra tre confezioni, verde, blu e rossa, contenenti quantità diverse di piattole per chi volesse risultati soft, strong e very strong. Gli ideatori di questo bizzarro e-commerce assicurano un’ottima qualità della merce, spedizioni in tutto il mondo e la possibilità di congelare i minuscoli parassiti in attesa del momento giusto.
D’altronde si sa, la vendetta è un piatto che va servito freddo.
Fonti
Wikipedia.org
Pc-facile.com
Repubblica.it
CrabRevenge.com