Abbiamo scelto un tema che è al contempo, universale e intimo, un desiderio che almeno una volta nella vita ha occupato i pensieri di ogni essere umano. La vendetta è un sentimento, un’esigenza, a volte un progetto di vita. È, a volte, l’interpretazione del diritto sacrosanto alla giustizia.
Ma esiste, sempre presente nella dottrina della chiesa, anche una vendetta divina. Il vecchio testamento ci parla di un Dio vendicativo, di terribili punizioni per gli uomni che disobbedivano al suo volere. Il cielo era il luogo (fisico e ideale) da cui la punizione divina si scagliava sulla terra. Per non parlare delle varie “fini del mondo” promesse da diverse sette o varie profezie.
La vendetta, però, nasce tra gli uomini, come desiderio di un sentimento di riscatto. I torti subiti, come ci illustra magistralmente il bel pezzo di Claudio Basile, provocano una ‘ferita’ narcisistica che deve essere riparata, se non con la vendetta con il perdono. Perdono che non corrisponde all’obbedienza ad un ordine superiore, ma una scelta che presuppone l’abbandono cosciente e ragionato del progetto di vendetta. Il perdono risulterà dal passare di un tempo logico, che ognuno di noi sceglie per eliminare dalla nostra esistenza l’origine della volontà di vendetta.
Nonostante sia un sentimento planetario, non c’è cultura al mondo che difenda la vendetta come quella mediterranea. A partire dalla legge del Taglione di origine babilonese (occhio per occhio, dente per dente) al delitto passionale, al codice barbaricino. Ora, ci sono differenze tecniche tra la vendetta e la faida, tra la vendetta d’onore e quella economica, tra regione e regione, tra nazione e nazione. Ci sono così tanti racconti, veri o presunti, leggende che descrivono vendette memorabili per diverse generazioni, per non parlare dei classici della letteratura: dal conte di Montecristo di Alexandre Dumas, all’Amleto di Shakespeare.
L’arte e la musica ne descrivono moltissimi esempi, il rigoletto di Verdi per la musica ad esempio. Nel versante sapori, il cibo avvelenato e la celebre metafora, “la vendetta è un piatto che va servito freddo…”. Ma la vendetta non è solo quella fisica, è anche e soprattutto psichica. In entrambi i casi la psiche agisce prima della reazione fisica, ma normalmente si ha l’occasione di praticare la vendetta attraverso una elaborazione, un progetto.
Chiedersi il perché esista la vendetta, o trovare la giustificazione etica, mi sembra un esercizio di stile, non credo ci possa essere una spiegazione scientifica. La mia opinione è che la vendetta risieda in uno stadio primordiale naturale, si inizia a pensare al diritto, come lo conosciamo noi, forse con il diritto romano. Altrimenti, fuori dal diritto condiviso, al sicuro dalle punizioni della legge, è possibile che funzioni solo lo schema “stimolo/risposta”, non proprio l’ideale per vivere in pace.
Ma tant’è, la pratica e ancora più il desiderio di vendetta non passa. Anche il terrorismo viene dipinto come una sorta di “vendetta sociale”. Secondo un ex terrorista, gli attentati sono il risultato di una vendetta verso uno Stato assente, verso le ingiustizie e i privilegi inaccettabili. Certamente il desiderio di vendetta nasce da una frustrazione, da un’esigenza di riscatto, individuale o collettivo.
In questo numero si parla di attitadoras nel pezzo di Claudia Zedda, le donne sarde che declamavano canti o nenie al capezzale di un morto. Se era morto ammazzato, i canti potevano celare dietro le parole l’ordine di una vendetta ai presenti. Si parla della nascita e del declino dell’occidente, del pericolo di tensioni e vendette che sfociano in guerre inutili a stabilire un qualsivoglia equilibrio mondiale. Un bellissimo e inpietoso affresco della geo-politica a partire dalla Grecia antica ai giorni nostri nel pezzo di Daniela Zini. Si parla di letteratura, di economia, di vendette 2.0, di antropologia viaggiando dalla Sardegna all’Albania nel pezzo di Carmen Bilotta. E ancora della rappresentazione della vendetta nella pittura di Hayez della brava Giulia Palomba, e del cinema di qualità con Cristina Giudice. Di storie di donne che si vendicano di torti subiti dagli uomini, e la tradizione è molto ricca, da Medea ai giorni nostri nei due articoli di Giuliana Abate. Delle piccole ma costanti tensioni, che portano all’accaparramento di posizioni di potere all’interno di una famiglia nel pezzo di Nicola Lecca. Un’intervista al grande storico sardo Manlio Brigaglia che ci racconta la sua idea di vendetta in Sardegna. Un bel pezzo anche da Sarajevo, Branka Kurtz analizza la vendetta come prodotto dell’ignoranza, il terreno dove il cielo incontra la terra. Lo sport, disciplina che da sempre insegna la sana competizione, a volte scade in comportamenti stupidi e vendicativi, nel pezzo di Ines Macchiarola. Abbiamo anche un racconto inedito di Barbara Picci, sull’inutilità della vendetta…
Buona lettura!