Il numero di questo mese affronta il tema del viaggio “in strada”, in giro per il Mediterraneo.
I colori, i sapori e le avventure che possono accadere nei Paesi del mediterraneo sono assolutamente diverse da qualsiasi altro posto al mondo. Diverso, non peggiore o migliore. La peculiarità dell’ambiente mediterraneo, dobbiamo ancora scoprirla tutta, attraverso il viaggio e iniziative editoriali come quella che stiamo cercando di portare avanti noi, o come altri siti molto importanti come Bebelmed, ad esempio. Solo riconoscendo l’importanza dell’altro riesco a valutare la mia impresa, che oggettivamente sta cercando di costruirsi una strada alternativa che è fatta soprattutto di racconti di vita, quelli che ci piacciono e che costituiscono l’ossatura principale di mediterranea.
Abbiamo intervistato il fondatore e organizzatore del progetto Mediterraid Antonello Fratoddi. Un viaggio che attraversa in auto i Paesi del Mediterraneo per diffondere il messaggio di unità e di pace. Dimostrando che si può viaggiare e conoscere persone speciali proprio sotto casa nostra!
Come ha organizzato questo viaggio in giro per il Mediterraneo? Ha incontrato particolari difficoltà?
Quando, trenta anni fa, giovani avventurosi arrivammo ad Aqaba provenienti da Roma con la nostra gloriosa Renault 4, vedemmo che dal porto partiva un traghetto alla volta di Nuweiba nel Sinai.
Noi eravamo giunti alla méta del nostro viaggio e da lì dovevamo percorrere a ritroso la stessa strada dell’andata per ritornare in Italia.
La visione di quel traghetto che dalla Giordania portava in Egitto fu per noi la rivelazione che il giro avrebbe potuto continuare; dopo aver attraversato Grecia, Turchia, Siria e Giordania avremmo potuto imbarcarci per l’Egitto e poi continuare per la Libia, la Tunisia e via lungo tutto il periplo delle coste del Mediterraneo. Quell’anno tornammo indietro ma l’idea del giro completo del Mediterraneo si era ormai installata nella mia mente e periodicamente si riaffacciò negli anni successivi.
Ne dovettero passare quasi trenta perché le cose della vita mi concedessero tre mesi a disposizione per compiere quel meraviglioso viaggio. Il 15 aprile 2006, insieme a quattro compagni, partii per inseguire il mio sogno e fino al 15 luglio percorremmo tutte le coste del Mediterraneo: sedici paesi, ventiquattromila km, novantadue giorni.
Da quella volta non ci siamo più fermati e ogni anno ripetiamo la nostra avventura sotto l’egida della Associazione fondata allo scopo: www.mediterraid.it.
Viaggiare nel Mediterraneo non è difficile, a patto di essere in sintonia con lo stile “mediterraneo”.
Prima della partenza contattammo tutte le ambasciate e spiegammo che avremmo voluto realizzare riprese televisive e articoli giornalistici. Apriti cielo! Si mise in moto un meccanismo perverso di permessi, moduli, spiegazioni, richiesta di dettagli su chi avremmo intervistato, come, perché, quando, e cosa avremmo filmato e dove queste immagini sarebbero state viste ecc. ecc.
Allora capimmo. Fermammo tutto e dopo un po’ ci ripresentammo a chiedere i visti come semplici turisti. A quel punto tutto divenne facile, in ogni paese siamo riusciti a intervistare e riprendere tutto quello che abbiamo voluto, solo cercando di mantenere “un basso profilo”.
Tutti ci hanno aiutato, e mai nessuno ci ha creato problemi che non si siano risolti con qualche spiegazione amichevole.
Per viaggiare nel Mediterraneo basta essere “mediterranei” e cioè flessibili, creativi, allegri, comunicativi e pazienti.
Un viaggio fatto principalmente per strada. Un modo per conoscere più profondamente i Paesi che avete visitato? La strada all’opposto di un viaggio organizzato moderno, un po’ come le esplorazioni di fine ottocento?
Quando parliamo di “Giro del Mediterraneo” tutti ci chiedono se a vela o a motore e con che tipo di imbarcazione navighiamo, solo quando spieghiamo che non ci muoviamo in acqua ma sulla terra ferma si crea una certa sorpresa.
Noi amiamo le “strade”, la polvere, la puzza di gasolio, le officine scalcinate, amiamo chiedere informazioni e perderci, fermarci nelle bettole e nei piccoli alberghi, amiamo le frontiere e i faccendieri, amiamo tutto quello che è Mediterraneo fuori dagli stereotipi e lontano dalle cartoline per turisti. E questo Mediterraneo autentico si vede solo viaggiando sulla strada.
Il “viaggio organizzato” è uno dei tanti ossimori a cui la nostra era ci ha abituato, come “libertà vigilata” o “realtà virtuale”. Il Viaggio vero non può essere organizzato. Viaggiare vuol dire “conoscere” e “scoprire”: quindi non “sapere prima” dove si andrà, dove si mangerà e dormirà, cosa si vedrà e chi si incontrerà.
Il viaggio è creazione, immaginazione, libertà di cambiare e decidere tutto all’ultimo. La sicurezza non può essere una caratteristica del Viaggio. Ormai confondiamo il Viaggio con la gita turistica. La gita turistica va bene, ti porta a vedere di persona quello che hai già visto mille volte in fotografia, ti fa stare al sicuro e ti garantisce i confort a cui sei abituato. Niente di male, ma per favore non chiamiamolo “Viaggio”.
Turisti, viaggiatori ed esploratori sono tre categorie ben distinte: i turisti hanno la prenotazione e la guida, i viaggiatori vanno alla ventura e sono pronti a tutto, gli esploratori vistano luoghi sconosciuti e difficili. Il turista è organizzato, il viaggiatore no. E “viaggio organizzato” è una contraddizione in termini.
Dopo aver viaggiato per mezzo mondo, in Paesi lontanissimi, la decisione del Mediterraneo. Un curiosità di viaggiatore o un’esigenza personale, voleva conoscere qualcosa di più profondo che ancora condiziona parte della nostra cultura?
Si, lontano si può scoprire e imparare, ma lontano vuol dire anche lontano da noi stessi.
In Mongolia, in Amazzonia, o in Mali si vede un altro mondo. E’ un’esperienza preziosa per comprendere la relatività dell’esistenza, per capire che niente è assoluto e tutto si può ribaltare. Ma in questi luoghi ti perdi, sei spaesato, “vedi” ma non “entri”, culture troppo diverse dalla tua le puoi conoscere ma non ti puoi illudere di capirle. Devi rispettarle ma saranno sempre “altro” da te.
Il Mediterraneo invece siamo noi, qui si capisce da dove veniamo, come eravamo e cosa dobbiamo conservare della nostra storia.
La cultura mediterranea che ha incontrato nel suo cammino, assomiglia in parte alla sua? Ci sono tratti comuni nei modi e nei costumi tra l’Italia, il Marocco o l’Algeria e gli altri Paesi?
Il Mediterraneo ti marchia. L’Italia, almeno al centro-sud, non è Europa, è Mediterraneo. Esiste un “Popolo Mediterraneo” che abita le coste; il mare e il sole entrano nelle coscienze. Determinano un diverso modo di concepire la vita. Forse non aiutano a produrre e a consumare, forse si lavora di più dove fa freddo e il paesaggio è grigio. Il Popolo Mediterraneo non è in linea con l’attuale tendenza mondiale di vivere per le merci. Nel Mediterraneo conta ancora il tempo perso al tavolino, le chiacchiere con gli amici, il non fare niente per percepire se stessi, nel Mediterraneo ancora non è arrivata, e forse non arriverà mai, la paura del vuoto. Quella paura che ci porta a riempire tutti gli spazi; ogni momento, ogni silenzio, ogni luogo va riempito di azioni o di merci, da produrre o da consumare. Nel Mediterraneo non è così, ed è lo stesso in Grecia, in Egitto e in Marocco.
Leggendo le notizie del vostro sito ho letto della realizzazione di un grande progetto come la fondazione del Politecnico del Mediterraneo, ma soprattutto del viaggio, ancora in corso, per portare nei Paesi rivieraschi del Mediterraneo il messaggio della assoluta necessità del rispetto dei Diritti Umani, di cui cade quest’anno il sessantesimo anniversario. Il viaggio aveva un percorso ragionato, ossia si toccavano i Paesi dove i Diritti umani hanno più difficoltà ad essere rispettati?
No, la nostra associazione non vuol fare un lavoro di denuncia, non vuole evidenziare i problemi. Non è nel nostro stile giudicare e denunciare, c’è già chi lo fa e tutti sappiamo dove e quanto i Diritti Umani non vengono rispettati. Noi vogliamo portare l’indicazione che i Diritti Umani sono importanti e bisogna conoscerli e difenderli. Poi ogni paese deve avere il tempo di evolversi e di compiere la sua parabola di avvicinamento alla democrazia e alla modernità. Lungi da noi unirci al coro di chi, dall’alto di una presunta superiorità occidentale, pretende di imporre modi e tempi di una evoluzione che in Europa, per esempio, ha richiesto secoli.
Il metodo di Mediterraid, è quello che a mio parere porta più risultati immediati nella comunicazione alle popolazioni dei Paesi visitati. Stare in strada insieme alla gente, che nella maggior parte del proprio tempo lavora, mangia, comunica in strada, è sicuramente un modo per mettersi al pari di chi ascolta. Molto più di cento conferenze accademiche, pur sempre importanti. Che risposte da parte della gente avete avuto dalla vostra iniziativa?
Prima di fondare Mediterraid abbiamo partecipato a decine di conferenze e dibattiti sul Mediterraneo, tutti utili e tutti indispensabili, ma tra pasticcini e flute di champagne, la sensazione era che mancasse qualcosa.
Quanti di quegli illustri relatori era davvero sceso in mezzo alla gente comune e quanto invece, quel mondo accademico corre il rischio di isolarsi e di elaborare teorie inattuabili “sul campo”?
Incontri, convegni e dibattiti sono utili alla diffusione della cultura mediterranea ma noi lavoriamo per portare un valore aggiunto a tali occasioni attraverso l’esperienza diretta.
Il nostro progetto, nei paesi europei, è considerato e apprezzato, ma il maggior interesse lo abbiamo sempre riscontrato nei paesi del Nord-africa e del Medio-oriente. La nostra fatica di scendere in strada senza lussi e senza confort ci ha sempre procurato una simpatia immediata e in questi paesi dove l’Occidente è percepito sempre più lontano e chiuso in se stesso, la nostra delegazione pronta a sacrificare il proprio tempo e le proprie energie è sempre stata accolta con entusiasmo dalla gente comune e dalle massime autorità.
Gli ultimi dieci anni hanno visto il Mediterraneo come nuova frontiera da esplorare da parte del mondo occidentale. Il tramonto dell’occidente risale agli inizi del 900, un testo che anticipava sicuramente la destabilizzazione che vive l’Europa occidentale. A parte l’interesse economico dei Paesi del Nord Mediterraneo verso la riva sud, c’è forse un interesse anche culturale? Ossia, forse un modo per recuperare le nostre radici storiche?
Credo che sempre di più si capisca come il Mediterraneo sia il luogo dove si incontrano, o rischiano di scontrarsi, le diverse civiltà. Occidente, Africa e Mondo Arabo nel Mediterraneo hanno la loro cerniera. Qui sono nate le religioni monoteistiche.
Cristianesimo, Ebraismo e Islam sono oggi non più solo fedi religiose ma anche il collante identitario delle rispettive culture. La radicalizzazione dell’Islam va letta come reazione a un atteggiamento occidentale colonialista e predatorio.
Nel Mediterraneo è nata la Civiltà e ora, qui, rischia di accendersi la prima scintilla di un incendio in grado di distruggerla.
E’ indispensabile tenere vivo il legame tra le sponde di questo piccolo mare che può unire o può divedere.
Quest’anno il presidente francese Sarkozy, ha orgogliosamente inaugurato l’Unione del Mediterraneo. Cosa ne pensa? Dal suo viaggio che idea si è fatta di una possibile unione tra Libia e Marocco ad esempio, oppure tra Francia e Palestina. L’Unione Africana promossa dalla Libia pare debba fare molta strada, ma questa proposta dalla Francia non rischia di essere un’idea che cade dall’alto, senza la vera partecipazione dei 43 Paesi coinvolti?
C’è voluto molto impegno da parte dei Poteri Costituiti per rendere il Mediterraneo un luogo insicuro e sede di tensioni. Un proverbio siriano dice che “le guerre sono fatte da tante persone che non si conoscono, per volontà di poche che si conoscono troppo bene”. Gli abitanti del Mediterraneo sono indolenti, fatalisti e pigri. Nessuno avrebbe voglia di combattere e di odiare.
La gente comune vuole tutta vivere in pace e desidera tutta la stessa cosa: una vita tranquilla.
I governi, gli stati e il potere, specie quello occidentale, non deve continuare a varare iniziative di facciata che teorizzano improbabili unioni che resteranno solo sulla carta. Quello che serve è che ogni paese rispetti e riconosca la sovranità degli altri e non agisca nell’ombra per dividere, sfruttare e imporre la propria influenza.
Mediterraid ha stretto rapporti con molte Istituzioni dei Paesi mediterranei. Quali sono state le maggiori soddisfazioni di queste relazioni?
Durante un convegno sul Mediterraneo a Roma, un importante esperto della materia ha aperto il suo intervento sostenendo che l’Italia può essere il portavoce della pace nel Mediterraneo perché, a differenza di altri paesi europei, non ha nulla da farsi perdonare.
Io ero da poco rientrato dalla Libia e sono saltato sulla sedia. In Italia il passato coloniale in Libia è stato rimosso. Ancora oggi, ogni anno qualche contadino libico riamane ucciso o ferito dalle mine italiane rimaste inesplose.
In Libia tutti dicono che il tempo perdona, che bisogna guardare avanti, ma nessuno dimentica le terribili malefatte del generale Graziani e dei suoi sgherri.
Durante un incontro ufficiale a Tripoli ho chiesto scusa per quello che l’Italia ha fatto negli anni venti e trenta. La platea non credeva alle proprie orecchie e da quel giorno ricevo decine di inviti da parte della Libia.
Per me è stata una grande soddisfazione dimostrare che in Italia c’è qualcuno che legge la storia in modo obiettivo ed è pronto ad ammettere anche i propri torti.
Se dovesse spiegare in due parole l’importanza del vostro viaggio?
Il nostro viaggio annuale è importante perché dimostra con i fatti che in Italia esiste la voglia di incontrare, conoscere e capire i nostri vicini. E perché crea le occasioni per parlare del Mediterraneo attraverso strumenti di comunicazione utili come il vostro giornale www.mediterraneaonline.eu
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