Così inizia Torna a Surriento, sicuramente la canzone più universalmente nota di tutto l’ampio repertorio napoletano, cantato in ogni lingua e in tutto il mondo. Composta nel 1902 da Ernesto De Curtis su testo di suo fratello Giambattista, nel 1960, la canzone conobbe una versione in inglese, It’s now or never, eseguita addirittura da Elvis Presley che aumentò, se possibile, la fama di Napoli, del suo circondario, delle sue isole, della sua costiera e di quella amalfitana.
L’intera area partenopea, nota per le sue bellezze, appare come sospesa tra paradiso (il mare) ed inferno (i vulcani, il Vesuvio in primis) tanto che Wolfgang von Goethe la descrisse come “la terribilità contrapposta al bello, il bello alla terribilità” nel suo Viaggio in Italia, allorquando, nel 1787 soggiornò a Napoli, visitandone i dintorni. Alle parole dell’illustre poeta tedesco, nel 1836, fecero eco quelle di un altro poeta, Giacomo Leopardi, che, da Torre del Greco dove trascorse l’ultima parte della sua vita, nel suo poema/testamento, La ginestra, invitava chi avesse voluto celebrare la condizione umana a visitare quei luoghi per comprendere fino a qual punto il genere umano fosse amato dalla natura (“A queste piagge/venga colui che d’esaltar con lode/il nostro stato ha in uso, e vegga quanto/è il gener nostro in cura/all’amante natura”). Un luogo incantato, dunque, dove, per dirla ancora con Goethe“[…]si desidera soltanto vivere” e“ci si scorda di noi e del mondo”; un eden che porta i suoi abitanti a cantare: “Nuje simmo ‘e ‘nu paese bello e caro/Ca tutto tene e nun se fa lassà./Pusilleco! Surriento! Marechiare!/’O Paraviso nuosto è chillu llà!“.
E che questi luoghi fossero un paradiso lo capì anche il pittore simbolista e esponente del movimento pacifista Karl Wilhelm Diefenbach, quando, tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, si stabilì a Capri. Nel 2018, il regista napoletano Mario Martone, dopo Il giovane favoloso in cui raccontava la vita di Leopardi e il suo periodo napoletano, ha realizzato il film Capri-Revolution ispirandosi proprio alla comune di artisti nord–europei fondata tra il 1897 e il 1899 da Diefenbach. Pur essendo parte del movimento simbolista e non certo di quello espressionista che temeva la modernità, Diefenbach era pur sempre un giovane esponente di un mondo in crisi davanti all’avanzare incondizionato di una modernità che si avvertiva come castrante nei confronti della propria umanità. Il senso di libertà e di gioioso contatto con una natura prorompente come quella dell’isola partenopea, che rifletteva gli altrettanto prorompenti sentimenti che ispiravano il gruppo da lui fondato, ben rappresenta quel desiderio di ribellione nei confronti di una vita opprimente, fatta di ipocrisie, falsi valori, consuetudini e tradizioni ufficialmente accettate, priva di ogni originalità e naturalezza che si impadronì di alcuni giovani, donne comprese come la giovane pastorella protagonista del film, allo scorcio del secolo XIX secolo e l’inizio del XX, prima dello scoppio della Grande Guerra che tutto distrusse.
Capri, come Sorrento, all’inizio del XX secolo, fu vista anche dai rifugiati politici russi come luogo ideale dove trovare accoglienza nel loro esilio, lontano da occhi indiscreti e, soprattutto, dalla polizia zarista. Lenin che la visitò ben due volte tra il 1908 e il 1910 rimase incantato dalla straordinaria bellezza dell’isola così come Go’rkij, che vi abitò dal 1906 al 1913 fondando con la sua compagna una scuola di partito, vero e proprio laboratorio politico-culturale per operai e intellettuali cacciati o fuggiti dalla Russia dopo il fallimento dei primi moti rivoluzionari nonché stimolante circolo culturale frequentato da intellettuali russi e italiani. E sempre Capri, il 9 e 10 luglio 1922, ospitò il primo “Convegno sul paesaggio”, organizzato dal comune dell’isola di cui era sindaco l’ingegnere e scrittore Edwin Cerio. Nel Manifesto della bellezza di Capri, redatto in quella occasione, lo scrittore Italo Tavolato, oltre a scrivere che la bellezza è sacra poiché illumina l’essenza delle cose, affermava che essa, non solo fulcro della nostra tradizione antica ma anche suscitatrice di humanitas, doveva essere strenuamente difesa, contro gli insulti di una modernità materialistica, meccanica ed industriale che, se giunta a Capri, dove il dionisiaco si accordava perfettamente con l’apollineo creando quell’equilibrio che solo i Greci erano stati capaci di realizzare con la loro arte, ne avrebbe completamente stravolto l’essenza di luogo ideale, unico al mondo.
A questo, lo scrittore Luigi Parpagliolo aggiungeva come, grazie alla poesia e all’arte, si fosse venuto man mano delineando un nuovo sentimento della natura, quasi un nuovo stato di coscienza che l’archeologo/scrittore svizzero Gilbert Clavel (che a Capri possedeva la villa “la Saida”) vedeva esaltato dall’architettura da lui definita “la sintesi di tutti gli elementi creativi, in quanto comprensiva di ogni produzione d’arte del passato e del presente”. Persino Marinetti, presente al convegno, malgrado le sue idee futuriste, contrarie a qualunque passatismo, convenne che per non contrastare la naturalezza delle coste dell’isola, l’architettura più consona da usare fosse quella locale, antica e mediterranea. Lo aveva ben compreso il medico svedese Axel Munthe che nel 1929 pubblicò La storia di San Michele, la sua villa – sorta di città ideale dell’arte che ancora oggi ospita pittori svedesi – da lui stesso progettata e costruita seguendo tradizionali concetti locali in uno dei punti più panoramici di Anacapri, a 327 metri di altezza sul livello del mare, dove un tempo sorgeva una villa imperiale romana e una cappella medioevale. “Aperta al sole e al vento e alle voci del mare“, la villa guarda verso quel Mediterraneo, culla delle civiltà più antiche, del cui splendido paesaggio non è solo simbolo, ma strenua difenditrice.
Nel 1925, il pittore tedesco Max Hermann Pechstein così scriveva mentre soggiornava non lontano da Capri, a Positano: “Sono da sabato 25 luglio a Positano, un vecchio covo di pirati saraceni. … Le case sono così comode che, non essendo osservati, è possibile vivere e mangiare in giardino per tutto il giorno in costume adamitico”. Un anno dopo, anche lo scrittore Riccardo Bacchelli così descriveva le case dello splendido paese campano: “[…] le case di Positano. Serbano queste una fattezza antica e severa. Addossate alla spalliera del monte, davanti sorgono da un ripiano di muratura, che sostiene poca terra, qualche vite a pergolato, e il loggiato della casa a due piani. Dall’alto, arrivando, si vedono i tetti a cupola schiacciata, appresi dalle fogge moresche. Son fatti d’uno scuro battuto di calcestruzzo, e il lume di luna, splendido sul mare, pare vi muoia sopra senza riflessi. … i positanesi dalla natura hanno appreso l’arte di porre e di distribuire le case e le contrade in modo che del monte seguino e sollevino senza turbarle le linee maestre. Qui s’è svolta appunto un’architettura che obbedisce alla natura, e obbedendole la ricrea e la fa sua ed umana. Ve ne sono in Positano bellissimi esempi. … Architettura di muratori anonimi e scolari dei secoli, di cercatori pazienti in un terreno caduco; tanto più maestrevole quanto meno sa di sé”.
Se tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 località quali Antibes, CagnesSurMer, l’Estaque, SaintTropez sulla costa provenzale erano divenute celebri per aver ospitato artisti quali Signac, Seurat, Renoir, Cézanne, Derain, Braque, Matisse, Bonnard, Picasso, negli anni ‘20/’30 del ‘900, la Costiera Amalfitana (ora patrimonio mondiale UNESCO) divenne altrettanto celebre perché, come già nel ‘700, fu oggetto di un rinnovato Grand Tour che ebbe come protagonisti soprattutto artisti e intellettuali che, per motivi politici, qui si rifugiarono. Soprattutto russi e tedeschi, in fuga dai regimi sorti nei loro paesi tra le due Guerre e attratti da quella “Sehnsucht nach dem Süden“ che aveva già contraddistinto Goethe nel suo Viaggio in Italia, trovarono nello splendore e nella ricchezza del paesaggio mediterraneo quella pace a cui il loro spirito anelava sin dalla fine della Prima guerra mondiale che aveva avvalorato in pittori espressionisti come Pechstein quel desiderio di fuga dalla città, avvertita come vera e propria espressione diabolica, per immergersi nell‘incanto della natura vista come utopico e primordiale giardino dell’Eden, lontano dalla modernità e dal fragore delle battaglie. Solo a Adriaan Lubbers, ingegnere e pittore olandese, però, riuscì in questi lidi l’incredibile impresa di cancellare la temibile tentacolarità della città moderna, simboleggiata da New York (dove aveva vissuto e lavorato ritraendo grigi grattacieli) e denunciata da Fritz Lang nel suo film Metropolis, con il trasferire al freddo e spesso plumbeo paesaggio urbano statunitense gli accesi, caldi colori da lui ammirati a Positano durante il suo soggiorno trasformando così la città in un invitante ed idilliaco approdo mediterraneo.
Del resto, a Positano, che unisce due coste – quella di Amalfi e quella di Sorrento – l’impresa di fondere l’antico al contemporaneo e il costruito alla natura riuscì perfettamente negli anni tra le due guerre quando, ritraendo le bianche, essenziali forme quadrangolari delle case della cittadina di mare campana, gli artisti riuscirono a compiere un’opera cubista (stile molto in voga negli anni ‘20) semplicemente facendosi guidare dalla natura che li circondava. E questo intreccio tra vecchio e nuovo, tra costruito e natura, tra cielo e mare favorì non solo la creazione di un’arte totale invocata già dal Gesamtkunstwerk di Wagner, ma anche la definizione di un uomo nuovo che prendeva forma dalla palingenesi di utopiche, alternative e quasi selvagge manifestazioni artistiche sperimentate in quel fecondo crogiolo di idee e nazionalità che trasformò, tra il 1920 e il 1940, la Costiera Amalfitana in un luogo magico dove era possibile liberarsi completamente, sia interiormente che esteriormente, per andare, felici, incontro al futuro. Il paesaggio meridionale italiano, infatti, attraeva tanti stranieri non solo per la sua notoria bellezza, ma anche perché in esso questi avevano idealizzato una specie di Paradiso terrestre a cui si aggiungeva la semplicità di vita dei suoi abitanti e la loro libertà di costumi da loro tanto ammirata. Agli occhi degli stranieri, questa era una straordinaria, antica terra da sempre crocevia di popoli ed etnie diverse, dove anche il cristianesimo e l’islamismo riuscivano a trovare una fusione nelle chiese dalle colorate cupole smaltate in maiolica e nelle antiche torri saracene disseminate lungo le coste. Qui Escher, giunto negli anni ’30, ritrasse, come ad Atrani, altra località della Costiera da lui visitata, l’aggregato urbano e le numerose e lunghe scalinate che divennero un segno inconfondibile della sua arte.
I primi intellettuali stranieri ad arrivare a Positano furono i russi tra cui lo scrittore Michail Nikolaevič Semënov. Questi, con i guadagni ottenuti con il lavoro svolto presso i Ballets Russes giunti in Italia nel 1916 (faceva da contatto tra la prestigiosa compagnia di Djagilev con i pittori e gli intellettuali italiani quali Depero, Cardarelli, Barilli, Baldini), costituì in un vero e proprio convivio nel “Mulino di Arienzo”, una vecchia costruzione che ancora domina Positano dal verde dei Monti Lattari, da lui acquistata e dove ospitò Djagilev, Picasso, Jean Cocteau, Lifar’, Bakst, Nižinskij, Stravinskij, Marinetti. La colonia tedesca fu più tarda a giungere, ma numerosi, oltre al già citato Pechstein, furono i nomi illustri. A Positano, sempre in quegli anni, arrivò anche Gilbert Clavel, già presente a Capri, amante delle bizzarrie estetiche futuriste tanto da trasformare la cinquecentesca torre d’avvistamento spagnola della spiaggia di Fornillo (nota attualmente come “Torre di Clavel”) in un’abitazione surreale dove ospitò Picasso, Stravinsky, Depero, il grande ballerino e coreografo russo Léonide Massine, il compositore Alfredo Casella e il già citato Italo Tavolato.
Numerose sono le persone, conosciute e non, che nei secoli hanno visitato Napoli, Sorrento, Capri, Positano e numerosi sono coloro che continuano e, si spera, continueranno a visitare queste località; luoghi magici, pieni di bellezza, storia ed arte, ideali per riposare, rigenerare ed arricchire corpo e spirito.
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