Hans Mertens, Cortile interno, 1925
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In questi giorni in cui, a livello mondiale, ci troviamo a fronteggiare difficoltà sempre maggiori che ci portano ad interrogarci sulla realtà che ci circonda, sulla validità delle scelte fatte finora a causa del crollo non solo finanziario, ma epocale che l’Occidente sta conoscendo e che abbisognerebbe di nuovi impulsi e, soprattutto, nuove idee per trovare valida soluzione portandoci verso una rinascita e un futuro più sereno, il pensiero non può non andare a quegli anni tra le due guerre mondiali in cui si produsse una situazione altrettanto drammatica. A causa della Grande Guerra prima e del crack di Wall Street poi, quei venti anni che vanno dal 1918, fine del primo conflitto mondiale, e il 1939, inizio del secondo, conobbero condizioni a noi vicine dalle quali, forse, si potrebbero trarre spunti e suggerimenti utili ad uscire dalla tremenda impasse in cui ci dibattiamo oggi senza ricadere negli stessi fatali errori già commessi allora e che contribuirono a sprofondare il mondo in una Seconda guerra mondiale. Allora come ora un sentimento di decadenza di tutta una società aleggiava su l’intero emisfero occidentale e se oggi Walter Laqueur lo sintetizza nel suo Gli ultimi giorni dell’Europa. Epitaffio per un vecchio continente allora si lasciò allo scrittore-filosofo Oswald Spengler il compito di esprimere tale idea in una poderosa opera che ebbe successo per tutti gli anni Venti dal titolo di Il tramonto dell’Occidente.

Proprio nel 1918 l’artista inglese Walter Bayes dipinse The Under world: Taking Cover in a Tube Station during a London Air Raid (Il mondo sotterraneo: trovare rifugio in una stazione della metropolitana durante un attacco aereo su Londra) (fig. 1). Come il titolo indica, l’artista volle fissare nel suo dipinto uno degli ultimi momenti di guerra vissuti da quel così detto “fronte interno” che, pur non arrivando a conoscere l’estrema drammaticità delle trincee, quasi un presagio del futuro, egualmente presentava un’umanità abbattuta e schiacciata, praticamente annientata dagli eventi che contraddistinguerà anche i terribili anni del primo dopoguerra che saranno particolarmente duri per l’Inghilterra che conobbe una disoccupazione senza pari: ben 2 milioni di persone, infatti, rimasero senza lavoro. Ma schiacciata ed annientata si ritrovò l’Europa tutta alla fine della Prima guerra mondiale a causa di morte, distruzione, povertà e, soprattutto, disoccupazione che la facevano da padroni. Nessuna nazione che aveva partecipato al conflitto ne fu risparmiata, nemmeno la Francia che, come la Gran Bretagna, quella guerra l’aveva vinta ma che era afflitta da una forte evasione fiscale che ne influenzava in modo pesante la vita sociale.

Anche l’Italia, malgrado la vittoria, si trovò a far fronte alla forte disoccupazione, alla riconversione industriale da militare in civile, al ritorno dei reduci che si rivelarono da subito essere dei problemi giganteschi e di difficile soluzione. I ceti medi e le classi a reddito fisso furono particolarmente colpite dalla crisi economica, anche perché danneggiate più delle altre dall’inflazione causata dalle enormi spese militari e deluse a causa della mancanza di lavoro e di aumento degli stipendi. E se chi aveva vinto aveva le sue immense difficoltà ad andare avanti, a maggior ragione la Germania, uscita sconfitta dal confronto e costretta a pagare ingenti danni a Francia e Gran Bretagna a seguito del Trattato di Versailles, conosceva giorni neri. La Repubblica di Weimar, nata nel 1919 sulle ceneri dell’Impero tedesco , si trovò ad affrontare alcuni tra i più gravi problemi economici mai sperimentati nella storia di una democrazia occidentale. Un’iperinflazione senza pari, una massiccia disoccupazione e un gravissimo abbassamento della qualità della vita contraddistinsero la realtà dei cittadini tedeschi al punto di decretare, nel 1933, la fine della repubblica a favore del regime nazista. A parte un breve periodo, dal 1923 al 1929, di relativo miglioramento economico, un mondo grigio (fig. 2), fatto di miseria (fig. 3), disperazione (fig. 4), prostituzione (fig. 5), accattonaggio fu la terribile conseguenza della mancanza di occupazione conosciuta in quegli anni dalla Germania (figg. 6 e 7).

Gli scrittori, i cineasti e gli artisti che facevano capo al movimento noto come Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività) non cessavano di descrivere in romanzi come Berlin Alexanderplatz di Alfred Döblin, opere teatrali quali L’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht e Kurt Weill, film del calibro de Il gabinetto del dottor Caligari, opera muta di Robert Wiene, archetipo di tutti i film tedeschi del primo dopoguerra che influenzerà tutta la cinematografia successiva e opere d’arte (fig. 8) la realtà non certo rosea che li circondava. Realtà che peggiorò, se possibile, nel 1929 dopo la caduta della Borsa di Wall Street che ebbe conseguenze nefaste in tutto il mondo. E adesso pover’uomo?, si chiedeva Hans Fallada nel suo capolavoro letterario che, attraverso la storia del giovane contabile Johannes Pinnenberg, raccontava la difficile vita berlinese tra la primavera del 1930 e l’inverno del 1932, anno di uscita del romanzo, contrassegnata dal vertiginoso aumento in tutto il Paese del numero dei disoccupati che da tre milioni nel 1930 erano passati a sei milioni nel 1932. E se la Germania lentamente, ma inesorabilmente scivolava verso il Nazismo a causa dei suoi problemi economici, gli Stati Uniti, dopo le follie e gli eccessi dei roaring twenties (anni ruggenti) conoscevano i terribili effetti causati dalla Great Depression (grande depressione) seguita a quel terribile venerdì nero del ’29. Le atmosfere tristi e fisse già presenti nei dipinti della Neue Sachlichkeit si impadronirono anche dei dipinti di Edward Hopper (fig. 9) che come nessun altro mai seppe rendere palpabile quell’immenso sconforto che attanagliò gli Stati Uniti durante quella gravissima crisi economica in cui la disoccupazione raggiunse vette impensabili fino a quel momento (fig. 10).

Il Surrealismo giunto oltreoceano dall’Europa negli anni ’30 si fece interprete del terribile periodo. I Surrealisti disdegnavano il capitalismo e impiegavano la loro “arte come un’arma” (era il loro slogan) che li aiutava a combattere la Grande depressione e l’universale disoccupazione nonché la paura di un’affermazione fascista in risposta alla grave crisi. Persone senza lavoro erano ovunque (fig. 11), non solo nelle strade, ma nei libri come Furore di John Steinbeck, romanzo simbolo della Grande depressione da cui John Ford trasse un film altrettanto celebre. Per combattere la crisi e la disoccupazione, fra il 1933 e il 1937, il Presidente Franklin Delano Roosewelt promosse un piano di riforme economiche e sociali noto come New Deal (Nuovo corso). Molteplici furono le iniziative varate per favorire l’occupazione. Tra queste, di particolare interesse risulta essere l’istituzione di una Sezione del Dipartimento del Tesoro dedicata alla Pittura e alla Scultura. Questa doveva collaborare con l’Amministrazione pubblica al fine di realizzare pitture murali e altri generi di opere d’arte per abbellire gli uffici postali e altri edifici pubblici raggiungendo il duplice scopo di dare lavoro ad artisti disoccupati e alzare il morale del pubblico grazie alla rappresentazione di scene capaci di diffondere ottimismo e fiducia nel futuro. Fu così che all’arte venne affidato l’importate compito di aiutare gli Stati Uniti a combattere la disoccupazione e ad uscire dalla più grave crisi della sua storia.

Fig. 7
George Grosz, Il disoccupato, 1934
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